Ebrei a Ferrara. Ebrei di Ferrara. Aspetti culturali, economici e sociali della presenza ebraica a Ferrara (secc. XIII-XX) - page 216

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Luciano Meir Caro
considerazioni contenute nelle lettere scambiate con Shemuel Halevi.
Questi faceva parte di un gruppo di messi itineranti, inviati dalla Terra San-
ta. Conosciuti come
Shadarim,
acronimo di una locuzione che significa
inviati dai
Maestri’, percorrevano la penisola per raccogliere offerte a favore delle istituzioni
culturali e benefiche di importanti centri ebraici quali: Gerusalemme, Safed, Tiberia-
de. Spesso erano anche alla ricerca di contributi per la pubblicazione di loro opere.
Alcuni si fermavano a lungo in talune località collaborando in vari settori con gli
esponenti delle locali comunità ebraiche.
Proveniente da Safed Shemuel Halevi aveva visitato Ferrara. In una lettera indi-
rizzata a Lampronti, datata 1715, scrive:
Durante il mio soggiorno a Ferrara, molte persone mi hanno richiesto il testo di
kabalà
di
cui sopra. Se ne avessi avuto molte copie a disposizione le avrei tutte vendute.
E Lampronti, presumibilmente a proposito dello stesso libro, con espressioni
piuttosto oscure, risponde a Halevi:
Ho ricevuto la Torà di Mosè una seconda volta. E il mio cuore mi dice che questa è più
perfetta della prima. Se la prima proviene da un Levi (con riferimento a Mosè la cui
famiglia traeva origine da Levi, figlio di Giacobbe), la seconda proviene da un Cohen.
5
È risaputo che nella tradizione ebraica il Cohen (sacerdote) riveste una posizione
più prestigiosa rispetto a quella del Levi.
Il linguaggio cauto e ambiguo della lettera fa pensare che per Lampronti il testo
fosse veramente di grande valore. Ci si chiede quale sia il libro a cui si fa riferimento.
E inoltre, la lettera è indirizzata all’inviato di Safed o a Biniamin Cohen, noto per la
sua attività di trascrizione e diffusione in Italia delle opere di Natan di Gaza, mentore
di Shabetai Zevì?
Shemuel Halevi, come molti degli ‘inviati’ provenienti da Safed si occupava tra
l’altro di predisporre testi di
kemiot
(amuleti propiziatori).
A lui Lampronti si rivolse con la richiesta di approntare un
kamìa
(amuleto) per
un suo nipote gravemente ammalato. Successivamente gli chiese di intercedere con
le sue preghiere «.. come è avvenuto con successo per il passato». A Shabetai Re-
canati, amico e collega, Lampronti domanda come va usato il
kamìa
testé ricevuto.
Dunque, Lampronti, prestigioso medico, attribuiva importanza alle pratiche di
ispirazione kabalistica e, tra i colleghi di Ferrara, aveva certamente un seguito.
Nell’atmosfera di attesa messianica diffusa tra i rabbini di Ferrara, assume anche
significato un fatto che accadde nel 1721, dieci anni prima dello scatenarsi delle
polemiche sulle posizioni di
Ramhal
, allorché l’Inquisitore formulò l’accusa di omi-
cidio rituale contro gli ebrei in relazione ad un tale, Pinchas Coen, per altro anziano
e di salute malferma, che si sarebbe proclamato ‘re d’Israele’ e avrebbe compiuto il
sacrificio umano di un bimbo cattolico.
6
L’accusa non ebbe seguito, ma l’episodio contribuì forse a suscitare nei rabbini
di Venezia perplessità nei confronti dell’atmosfera che si respirava a Ferrara e in
5
I. S
ONNE
,
op. cit
., p. 84.
6
W
ERTHER
A
NGELINI
,
Gli ebrei di Ferrara nel Settecento. I Coen e altri mercanti nel rapporto
con le pubbliche autorità
, Argalia, Urbino 1973, p. 88.
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