Sguardi dall'interno. La predicazione di Mordekhay Dato tra «bona raccolta» e «mala compania»
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umana, attraverso un processo di ripristino del cosmo antediluviano fondato sull’os-
servanza dei precetti, delle
mitzwot
. La tradizione ebraica, interrogata, quindi, nella
predicazione di Dato, sull’origine del male, sembra fare ricorso alle influenze della
filosofia neoplatonica, la cui gerarchizzazione tra materia impura e spirito puro viene
riverberata nell’esposizione di una origine fisica, per quanto mediata dall’intervento
di Dio tramite una punizione naturale. L’ortoprassi, tuttavia, può portare a un ritor-
no alla
Torah
come condizione originaria di armonia universale, come resilienza
religiosa di fronte al trauma della debolezza umana. Nella conclusione del sermone
Dato concede nuovamente la parola a Dio, che parla – pensando al contesto di predi-
cazione, nella San Felice sul Panaro del XVI secolo – evidentemente ai
benei isra’el
,
affermando che la dignità dell’uomo si fonda sull’obbedienza ai precetti:
me servi obidiente
come filiolo a padre et io amerò te come padre a filiolo
Nel Cinquecento dei grandi fermenti messianici, tanto sul fronte ebraico quanto
su quelli cristiani, Mordekhay Dato, che al tema della venuta del Messia aveva dedi-
cato il
Migdal Dawid
, un’opera corposa oggi conservata presso la Bodleian Library
di Oxford, predica, in un contesto essenzialmente cristiano, tendenzialmente antigiu-
daico, il superamento del semplice diritto all’esistenza degli ebrei. Dato rivendica
la dignità del popolo eletto, ne mette in luce la grandezza, per quanto derivata, e
introduce Dio come interlocutore diretto di una comunità abituata a vivere all’ombra
di altre forme di trascendenza. In questo contesto la voce di Dio esce dalla tradizio-
ne tanakhica ebraica, regolarmente risemantizzata nell’interpretazione cristiana della
tensione citazionale intratestuale che lega Antico e Nuoco Testamento, e viene calata
nella quotidianità dell’assemblea che ascolta il predicatore, viene attualizzata. Non è
più un Dio lontano, delle Scritture, che parla alla comunità, ma un Dio che si rivolge
agli ebrei, attraverso la voce di Dato, nel momento stesso in cui questi lo ascoltano
predicare.
E non solo il reniio del mio popolo
israel
serà tuo ma onii volta
che coniioscendomi tu che io sono (patrono) absoluto oniversale de tuto l’oniverso
me domandarai maiior dominio ancora. Domandami pure che te donarò
per eredità particolare a te le gente
’asher lo’ mi-benei isra’el hemma
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tanto
che la tua monarchia prenderà e si estenderà fin a li estremi
de la terra
Non si parla soltanto di diritto all’esistenza, ma si rivendica il diritto alla gran-
dezza del popolo ebraico. L’uomo (da intendersi, in questo caso, come ebreo) si de-
ve guardare dalla «mala compagnia», deve prestare attenzione all’interazione con il
contesto culturale esterno, deve preservare la propria condizione elettiva dal rischio
dell’acculturazione, della dispersione – o della contaminazione – della propria verità
religiosa. Non deve perdere il lume della conoscenza, né deve smarrire la strada.
Se da una parte, quindi, il problema viene affrontato in una prospettiva esterna alla
coscienza, evidenziando la pericolosità potenziale della contiguità con i
goym
, con
i non ebrei, dall’altra viene affrontato come dinamica spirituale, rivendicando la ne-
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Coloro che non sono figli d’Israele.
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