«Vecchie città ed edilizia nuova», il contributo di Ciro Contini (1873-1952)
          
        
        
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          Architettura nel decennio successivo, in diverse università italiane. In questi anni,
        
        
          una generazione di tecnici ingegneri e architetti, allievi di una cultura accademica o
        
        
          di scuole applicate, si trova a tirare le somme di una molteplicità di esperienze che
        
        
          interessano l’edificio e la città, la modernizzazione di quest’ultime e l’inserimento di
        
        
          edifici nuovi in contesti storici. Un processo critico che porta, non a caso congiunta-
        
        
          mente, alla maturazione della disciplina urbanistica da un lato (dopo le prime espe-
        
        
          rienze della seconda metà dell’Ottocento) e al sempre più consapevole e rispettoso
        
        
          approccio al restauro, dall’altro. Di questo fervente dibattito Contini si dimostra uno
        
        
          specchio aggiornato, consapevole dei più moderni approcci alle diverse materie, ma
        
        
          non sempre in linea con questi indirizzi, radicato in posizioni e scelte urbanistiche
        
        
          che lo legano a una prassi attardata. Le sue scelte sono lo specchio della sua forma-
        
        
          zione, ancora spuria e molto autodidatta, come per i suoi coetanei formatisi in scuole
        
        
          applicate o accademie.
        
        
          In campo urbanistico, la fine dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento
        
        
          segnano in Italia una tappa importante e molto consistente nella trasformazione delle
        
        
          città antiche e nel loro ampliamento, per consentire lo sviluppo demografico in par-
        
        
          te in atto e in gran parte agognato dagli amministratori locali. L’arrivo delle prime
        
        
          strade ferrate e lo sviluppo di piccoli o grandi poli produttivi di natura industriale
        
        
          generano la speranza di una grande crescita, demografica ed economica, anche nelle
        
        
          città minori, come Ferrara.
        
        
          Le città vivono l’esperienza di una pianificazione moderna sul finire dell’Otto-
        
        
          cento, dopo l’Unità d’Italia e la realizzazione delle primarie tratte ferroviarie, utili a
        
        
          connettere i principali capoluoghi. I princìpi pianificatori che si riconoscono sono,
        
        
          sostanzialmente, quelli sperimentati tra il 1853 e il 1869 nel corso dell’esecuzione
        
        
          del piano del barone Georges Eugène Haussmann (1809-1891) per rinnovare Parigi,
        
        
          e poi reiterati nelle principali capitali europee, quindi:
        
        
          a)
        
        
          
            sventramenti
          
        
        
          ,
        
        
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          finalizzati a risanare aree igienicamente disagiate, connette-
        
        
          re le polarità della città e facilitare il crescente traffico veicolare;
        
        
          b)
        
        
          
            isolamenti
          
        
        
          , volti a monumentalizzare gli edifici di rilievo storico-artistico,
        
        
          per liberarli dagli edifici che vi si erano addossati nel corso del processo di
        
        
          sviluppo della città e per creare nuove spazialità urbane, più convenienti alla
        
        
          moderna borghesia, alle attività commerciali e all’industria.
        
        
          Un importante esperimento di pianificazione italiano è quello del
        
        
          
            Piano moderno
          
        
        
          
            di Roma
          
        
        
          (1883) che prevede numerosi ampliamenti esterni ma, anche, sventramenti
        
        
          e isolamenti nel tessuto edilizio più antico. Nuovi assi in grado di risanare la città
        
        
          vecchia, connettere i grandi monumenti con strade più ampie e che ne esaltassero la
        
        
          visione prospettica, prevalentemente centrale.
        
        
          Napoli, nel 1885, vive l’esperienza del
        
        
          
            Piano di Risanamento
          
        
        
          che, a seguito
        
        
          di una forte epidemia di colera e grazie all’approvazione di una speciale legge che
        
        
          permette di migliorare il calcolo dell’indennità di esproprio,
        
        
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          riesce a concretizzarsi
        
        
          nei quartieri più degradati, con ampi sventramenti viari e la sostituzione totale degli
        
        
          edifici esistenti. Risanamento che coprì, sotto l’ala protettiva dell’interesse pubblico,
        
        
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          Il termine sventramento lo si fa risalire alle parole del presidente del Consiglio Agosti-
        
        
          no Depretis che, nel 1884, a seguito dell’epidemia di colera a Napoli dichiarò che era neces-
        
        
          sario «sventrare Napoli» per risanarla, ispirandosi alla lettura de
        
        
          
            Il ventre di Napoli
          
        
        
          di Matilde
        
        
          Serrao.
        
        
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            Legge per il risanamento della città di Napoli
          
        
        
          del 15 gennaio 1885.
        
        
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