Ebrei a Ferrara. Ebrei di Ferrara. Aspetti culturali, economici e sociali della presenza ebraica a Ferrara (secc. XIII-XX) - page 80

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Dibattito
tutte relazioni estremamente interessanti, a cavallo fra tarda età medievale e inizio
dell’età moderna. Per quanto riguarda l’interessantissima relazione sul Portogallo,
alcune notizie già le sapevamo grazie ad Aron di Leone Leoni il quale, fra l’altro,
fa un racconto meraviglioso della fuga da Anversa, con la presenza di questa rete di
assistenza incredibile che aiuti i sefarditi, e con il passaggio dallo Stato di Milano che
è particolarmente pericoloso perché l’imperatore li fa bloccare, confisca tutti i beni e
li fa arrestare. Veramente una narrazione che costruisce il mito di Ferrara. Ricordo a
questo punto che è un tema molto attuale anche per la recente uscita dello studio di
Mercedes Garcia Renal su Pallace
L’uomo dei tre mondi
. Volevo chiedere su questo
ruolo di mediazione e, soprattutto, perché ritornano in Portogallo?
Rivolgo una domanda sull’onomastica a Elisabetta Traniello e le chiedo un ap-
profondimento riguardo al passaggio sotto il dominio di Venezia, che la relazione ha
solo accennato.
E infine l’ultima relazione, molto molto interessante, che ricostruisce la figura
di Celio Calcagnini e del suo ruolo culturale di mediatore fra tre culture: bisogna
chiedersi che significato ha mettere insieme le tre scritture, comprese le scritture
in ebraico, perché bisognerebbe ricostruire l’ambiente umanistico ferrarese ma non
solo. Mi colpisce la data 1542 ed è la data dell’istituzione del Sant’Uffizio a Roma,
quindi molto prima della devoluzione di Ferrara allo Stato della Chiesa, che rimane
fuori. A Roma però sono già gli anni in cui si comincia a reprimere tutti i nuclei di
tipo umanistico (si pensi a Egidio da Viterbo e allo stesso Michelangelo) che hanno
interesse per la cultura ebraica e che hanno questa stessa impostazione. Cambiano
moltissimo le cose quando anche Ferrara entra nell’orbita della Chiesa: mi chiedo se
l’uso di queste scritture persiste ancora; probabilmente hanno un significato comple-
tamente diverso, nel senso che assumono carattere esegetico, di dimostrazione agli
ebrei di cosa è successo.
M
ICHELE
L
UZZATI
– Tutti e due i temi sollevati da Marina Caffiero, e cioè in che
misura e fino a che punto gli ebrei possono essere considerati eretici, e quand’è che
un nucleo ebraico o un insediamento ebraico può essere definito Comunità, sono
temi che è necessario tenere sempre presenti, qualsiasi ricerca si faccia, perché ogni
tanto si può fare il punto. Sul tema della Comunità Alessandra Veronese ha scritto un
articolo (credo però in tedesco e non tradotto) che puntualizza la situazione dell’Italia
centrosettentrionale indicando che la Cominiuà come è arrivata fino a noi è un fatto
cinquecentesco. Intanto la parola Comunità (
acheilà
in ebraico e il suo corrispettivo
Universitas
in latino) non c’è nel Quattrocento, Ariel Toaff ha trovato
Universitas
per
Perugia, forse circola a Bologna, ma non mi sembra che si trovi per Ferrara: compare
solo in un curioso documento degli ebrei poveri che si sono definiti l’
Universitas
de-
gli ebrei poveri di Ferrara per indicare il complesso, non un’istituzione. E credo che
valga anche per quanto ha trovato Toaff: in quel caso si indicava il complesso che era
tenuto a pagare una certa tassa. Anche per quanto riguarda il diritto di cittadinanza, di
cui si è parlato a Ravenna con Serena di Nepi [ndr: nel convegnoAISG], gli ebrei non
hanno il diritto di abitare in permanenza: se sono
cives
lo sono
ad tempus
, cioè sono
considerati analoghi a un cittadino per un certo periodo di tempo di 5, 10 anni secon-
do quanto indicato dalla condotta. Se no, sono dei
forenses
come tutti. Oppure ogni
tanto (è il caso che ho citato anch’io) il Signore o lo Stato di Lucca, per esempio, dà la
cittadinanza perpetua, è un caso talmente singolo che è la negazione del concetto di
Comunitas
. Secondo me, la vera e propria Comunità coincide con il riconoscimento
di diritto permanente di risiedere, e questo inizia con il ghetto che tutti percepiamo
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