Ebrei a Ferrara. Ebrei di Ferrara. Aspetti culturali, economici e sociali della presenza ebraica a Ferrara (secc. XIII-XX) - page 84

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Dibattito
iscrizioni di palazzo Contughi e in modo parziale quelle di palazzo Naselli ma non
fanno mai riferimento né alle fonti delle iscrizioni né all’utilizzo di lingue differenti.
Certo è tema che merita di essere ulteriormente approfondito ma, forse, credo che si
debba quindi pensare a uno sfoggio di erudizione e che questa scelta abbia a che fare
con l’idea e la volontà dell’utilizzo e del recupero parallelo di queste lingue, ma non
con una posizione militante e un impegno conversionistico.
M
ARINA
C
AFFIERO
– Non si deve trascurare la grande importanza che presso gli
umanisti hanno la cultura e la religione ebraica e la
kabalà
, che ha un significato sim-
bolico che deve essere disvelato che è allusivo alla religione cristiana. Non dimenti-
chiamo che nel frattempo c’è stata la riforma protestante. Non sapevo che Calcagnini
fosse un nicodemita: è in questa direzione che bisogna scavare perché è cosa saputa
la rivalutazione dell’ebraismo, della lingua ebraica e della cultura ebraica attraverso
la Bibbia, di cui ben sappiamo la vicenda, da parte della cultura dell’epoca; ci vedo
proprio l’atmosfera culturale di quegli anni, che dopo sparisce, ma è testimonianza
molto rilevante.
F
RANCESCA
M
ATTEI
– Sono assolutamente d’accordo su questo tipo di visione.
A
NDREA
F
AORO
– Mi rivolgo al professor Luzzati: mi ha molto colpito che lei ab-
bia individuato una rarefazione della documentazione d’archivio relativa al banchie-
re di cui ha trattato nei primi decenni del Quattrocento: alcuni anni fa ho documenta-
to le vicende di un gruppo artigiano un po’ particolare, i produttori di vetro, non solo
a Ferrara ma in tutta la Pianura Padana e nella Romagna. Si riscontra in quegli stessi
anni come delle vere e proprie dinastie artigianali (modernamente diremmo dei pic-
coli imprenditori) che si erano affermati in quasi tutte le città dell’Emilia Romagna
guadagnando buona posizione economica e sociale, mostrano un tracollo. Quello che
secondo me permette di instaurare un confronto è il fattore che erano tutti artigiani
provenienti dalla Toscana, in particolare della Val d’Elsa, portatori di una specifica
tecnologia, installati dalla fine del Quattordicesimo secolo: probabile quindi che sia-
no venuti a rimorchio dei banchieri toscani che arrivano in quelle generazioni, nel
senso che questi hanno fatto loro da battistrada anche agli artigiani di quelle regioni.
Questi emigrati non erano dei poveracci ma artigiani che non trovavano espansione
per la loro attività nel mercato toscano. Mi ha colpito molto la coincidenza della rare-
fazione documentaria su due attività che movimentavano capitali più di altre attività
e che condividevano l’origine geografica.
M
ICHELE
L
UZZATI
– Sono perfettamente d’accordo con lei. Mi fa piacere che si
occupi di vetro: nella mia bibliografia giovanile, c’è persino un articolo su un fabbri-
cante di occhiali di Pisa; piove sul bagnato, in un certo senso.
Vorrei fare una considerazione più generale: non è che gli ebrei siano gli unici
che si muovono in Italia. Sta per uscire per Viella un libro (di cui non ho qui le in-
dicazioni precise) che è la lettura delle lotte per la libertà dell’Ottocento come una
reazione all’operato degli stati settecenteschi, cioè all’irrigidimento dei confini fra i
territori. Un esempio è l’invenzione della carta d’identità voluta da Napoleone, come
detto a Ravenna: unità di secondo disciplinamento. Possiamo dare una lettura del li-
beralismo come tentativo di andare a rompere questi confini che ci mettono addosso.
Anche adesso siamo in uno stato poliziesco: usciamo dall’Italia e giriamo tutta Euro-
pa senza che ci chiedano una volta un documento ma dobbiamo presentarlo in Italia
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