Dibattito
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sefarditi che da lì l’hanno portata in Turchia. Ipotizziamo che ad Ancona e nelle
Marche si sia potuto affermare in maniera così massiccia quest’influsso così forte
per la presenza di sefarditi ‘di ritorno’ per motivi commerciali, cioè dei levantini: ma
è ancora tutto da verificare.
M
ICHELE
L
UZZATI
– Una domanda per Andrea Lattes. I documenti che hai mostra-
to sono veramente straordinari e la vicenda stessa è una delle più straordinariamente
tipiche della storia dell’ebraismo italiano, tipica cioè dell’abitudine, se non il gusto,
a trattare. Trattare su qualunque cosa e con chiunque. Vale per lo Stato, vale per la
Chiesa, vale per gli ebrei. Sembra che si divertano un mondo a trattare, quindi girano
intorno a tutte queste cose avvocati su avvocati. È una tradizione fortemente italiana:
è una vicenda che anche un avvocato del giorno d’oggi vorrebbe trattare, trovando
qualcuno che lo paga bene. Si trascinano per anni, hanno mille basi diverse. Come
la creazione dei ghetti: chi li ha studiati sa che nascono da trattative, si va avanti per
settimane a discutere: “Questa casa sì, questa casa no.” Sono molto interessanti le
motivazioni che vengono portate. Tu hai giustamente detto mentalità ottocentesca ma
in questi documenti mi sembra che si veda un altro problema che ci portiamo avanti
ancora oggi come ebrei o come altra minoranza: è un problema che esiste anche in
Israele, ed è il problema dell’uguaglianza nella diversità. La rivoluzione francese ci
ha detto che siamo tutti uguali, e poi via via si è scoperto che questa uguaglianza non
ci permette di mantenere le nostre peculiarità e le nostre diversità. È un tema che è
emerso anche quando è stato fatto il nuovo statuto dell’ebraismo italiano negli anni
Ottanta: siamo tutti uguali ma vogliamo anche essere un po’ diversi. In quei docu-
menti, quei motivi ci sono già: perché con il ritorno dello Stato pontificio gli ebrei
tranquillamente dicono “come tutti gli altri cittadini” ma quando mai, prima della
rivoluzione francese, gli ebrei avrebbero potuto dire “come tutti gli altri cittadini”?
quindi c’è stato uno scatto in avanti. Dicono: siamo cittadini e, in quanto cittadini,
vogliamo che si paghino tutte le tasse. Al tempo stesso dicono, cosa straordinaria:
noi non abbiamo nulla da obiettare sulla Casa dei catecumeni, questo è sbalorditivo;
nessuno li chiamava a dire di essere contro la Casa dei catecumeni però non scrive-
re in un documento ebraico: noi ebrei siamo favorevoli alla Casa dei catecumeni,
fosse anche per ingraziarsi le autorità. Poi c’è l’altro richiamo che, sotto i francesi,
non pagavamo quella tassa ma eravamo assoggettati a diversi obblighi ad esempio
il servizio militare. Non a caso come a Livorno dopo l’uscita dei francesi è vero che
rimpiangevano i privilegi della Livornina.
Come si diceva dopo la sentenza in certi processi: accetto la sentenza per la parte
che mi è favorevole, la rigetto per la parte che mi è contraria. Così è l’atteggiamento e
penso che vada approfondita la vicenda che non va nella direzione del pensiero otto-
centesco dell’uguaglianza ma va già nella direzione di dire tutto ‘quello che riguarda
l’uguaglianza ci va bene, tutto quello che va a contrastare i nostri principi non ci va
bene’: è qualcosa di lungo periodo.
A
NDREA
L
ATTES
– Chiaramente non potevano dire di non fare la Casa. Non po-
tevano andare contro un’istituzione pubblica e la Casa dei catecumeni era un’istitu-
zione pubblica.
M
ARINA
C
AFFIERO
– La documentazione era preparata da avvocati?
A
NDREA
L
ATTES
– Non sempre. Se Rubino Pesaro manda una lettera a nome suo,
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