L’esigenza di inventare spazi nuovi e fun-
zioni altre nei limiti di elementi “obbli-
gati”, preesistenti e tutelati, la possibilità
di dare significato a questi stessi limiti, ha
costituito la sfida creativa centrale del no-
stro progetto. La dialettica che si apriva,
dal punto di vista architettonico, tra vincoli
e libertà, vecchio e nuovo, rigidità e fles-
sibilità, ci appariva essa stessa particolar-
mente adatta ad esprimere un museo
ebraico-italiano. Questa stessa dialettica è
infatti carattere peculiare dell’ebraismo,
della sua fisionomia complessa e poliva-
lente, la capacità di restare in un nesso
mobile tra una molteplicità di aspetti, di
farsi esso stesso “cardine”. L’edificio che
ospita il museo vero e proprio, pur man-
tenendo la sua struttura originaria, è stato
aperto su di un fronte e reinventato al
suo interno. Un movimento di libri gi-
ganti, di scaffali aperti e chiusi, ne com-
pone le sale, quasi invertendo i ruoli: non
è il museo che custodisce la conoscenza,
come un archivio, ma è il “libro” stesso
che “porta” il museo.
The need to invent new spaces and
functions that cope with the limits set by
the pre-existing structures creates an
opportunity to give significance to these
same limiting factors, and is the main
creative goal of our project. From the
architectural point of view, this opens up
dialectics about the nature of restraints
and freedoms, old and new, rigidity and
flexibility, that appear to be particularly
appropriate for a Jewish Italian museum.
This same dialectic is in fact unique to
Judaism, with its complex and multiple
features, its capacity to find ground
within a shifting nexus between multiple
aspects, it is “pivotal” in itself.
The original structure of the building that
houses the museum itself is modified to
open up the front while the interior is
entirely remodeled. The design suggests a
series of giant books through open and
closed staircases that lay out the rooms,
almost as an inversion of their roles. Here,
the museum is not the guardian of
knowledge, like an archive, but becomes
a “book” itself in which the museum can
be read.