Ebrei a Ferrara. Ebrei di Ferrara. Aspetti culturali, economici e sociali della presenza ebraica a Ferrara (secc. XIII-XX) - page 176

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Lucio Scardino
dovana, nei fogli del Censimento del 1901 il ventenne Arrigo risultava residente
nell’ex ghetto di Ferrara, in via Vittoria 51, in una casa di proprietà di Zaccaria
Massarani. Ma si trattava di una sistemazione provvisoria: il padre era ospite (con
tutta la famiglia, composta da otto figli) del cognato Guglielmo Pesaro, tintore che
aveva sposato Giuseppa Minerbi, ma fino all’anno prima aveva abitato ‘fuori dal
ghetto’.
Dal 1878 al 1886 la famiglia di Moisè difatti risulta residente in via Borgo-
leoni 74 (dove quasi sicuramente Arrigo era nato) e dal 1886 si era trasferita in via
Colombara 26, l’odierna via Cosmè Tura. Oltretutto l’anno seguente lo scultore si
trasferirà a Firenze, per frequentarvi l’Accademia di Belle Arti e non abiterà più a
Ferrara.
I rapporti con la Comunità dovettero comunque essere assai stretti, favoriti
anche dall’attività del padre, commerciante in tessuti: Arrigo era evidentemente
considerato un bravo artista dagli ebrei ferraresi, tanto che, subito dopo aver com-
pletato gli studi alla civica scuola d’arte «Dosso Dossi», sarà prescelto dal più
giovane Roberto Melli (figlio di un altro commerciante) per chiedergli di dargli
lezioni private di scultura e nel 1904 verrà chiamato dall’ingegner Ciro Contini per
decorare la villa Melchiori, assolvendo appieno all’incarico e aiutando il proget-
tista suo correligionario a realizzare il capolavoro assoluto del Liberty a Ferrara.
Nell’edificio sorto nel nuovo viale Cavour gli ornati in cemento furono modellati
da Minerbi seguendo gli andamenti floreali che improntavano il disegno di Con-
tini, tanto che l’ingresso è foggiato a guisa di
corbeille
, mentre il muro di cinta è
completato da fasci di fiori dall’accentuato dinamismo. Questo gusto fitomorfico
trapela altresì in un’altra opera di Minerbi: la tomba dell’onorevole Adolfo Cava-
lieri, eseguita nel 1912 per il Cimitero Israelitico di Ferrara. I cespi petrosi nella
parte centrale del sepolcro sono di squisito taglio
Art Nouveau,
dando il senso di
un accentuato movimento, godibile ancora oggi nonostante lo stato di labenza e
l’asportazione del grande tripode in bronzo che si dipartiva con intelligenza sim-
metrica dal viluppo floreale.
Minerbi lavorava nel contempo per opere funerarie di committenza cattolica:
suo è il neo-verrocchiesco ‘putto’ per la tomba Maciga e il ritratto di Guelfo Cam-
pana in un altro sepolcro posto nel cimitero della Certosa di Ferrara (ed è forse suo
anche il fastigio marmoreo posto in quest’ultima tomba, eseguito nel 1907).
Nel 1910 Arrigo era tornato a lavorare con il Contini, realizzando l’elegante
decorazione plastica dei padiglioni effimeri ideati dall’ingegnere ebreo per la
Mostra
delle Bonifiche
, mentre un paio di anni dopo eseguì per il Cimitero Israelitico di
Bologna la tomba Bolaffio-Pincherle, con bellissimi melograni che forse volevano
evocare quello che stringe la ferrarese
Madonna
di Jacopo della Quercia.
Minerbi viveva allora a Genova, città in cui si era trasferito dopo alcuni anni
trascorsi a Firenze, dove aveva operato per alcuni antiquari e studiato profondamente
la lezione della statuaria toscana del Quattro-Cinquecento.
Tentò così di innestare questi echi colti nell’ambito del simbolismo, che ave-
va soprattutto conosciuto frequentando il cenacolo artistico-letterario chiamato «Il
bivacco», in particolar modo il poeta Giovanni Costanzi, da lui ritratto in più di
un’occasione. Con il letterato ligure egli stabilì una profonda intesa spirituale, «ba-
sata su comuni interessi per le filosofie orientali e per un atteggiamento idealistico di
impronta neoplatonica» (Grasso).
Scoppiata la Prima Guerra Mondiale, Minerbi fu riformato a causa della cagio-
nevole costituzione, ma si impegnò fortemente nella elaborazione di una retorica
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