Ebrei a Ferrara. Ebrei di Ferrara. Aspetti culturali, economici e sociali della presenza ebraica a Ferrara (secc. XIII-XX) - page 180

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Lucio Scardino
una terribile lettera a Marta Pagnoni, giovane domestica in casa Ravenna. Vi si legge,
fra le altro:
Il mio grande dolore per la morte del mio Gino e per il calvario di Bianca e dei suoi fratel-
li si fa più acerbo per l’ignavia, l’indifferenza, la complicità e il tradimento dei miei con-
cittadini. Mai potrò perdonare a Ferrara lo scempio degli 800 suoi concittadini migliori,
e il saccheggio che gli sciacalli hanno compiuto sulle loro cose. Così mai dimenticherò i
pochissimi che l’hanno aiutati…
E in una lettera a Marta del 2 agosto aggiunge perentoriamente: «a Ferrara io non
ritornerò che morto!».
Questo atteggiamento si ammorbidì negli anni ‘50 grazie alla mediazione
dell’ex-podestà Renzo Ravenna, il quale lo convinse a donare nel 1954 alcune sue
sculture al Comune di Ferrara, che stava allora riallestendo la Galleria d’Arte Moder-
na al pianterreno del Palazzo dei Diamanti, ossia nei medesimi ambienti dove le sue
opere erano state rifiutate una decina d’anni prima.
Pur toccato direttamente dalla tragedia delle deportazioni per via della morte
del fratello Gino e degli altri parenti, Minerbi non realizzerà però alcun monumento
all’Antifascismo e alla Resistenza: e quando nel 1955 gli chiederanno di eseguire un
monumento ai Caduti della Seconda Guerra Mondiale alla base di un campanile a
Copparo egli preferirà riproporre una bronzea immagine di
Madonna.
Arrigo Minerbi aveva difatti ormai quasi del tutto focalizzato la sua produzione
nel campo dell’arte sacra, mentre la sua Porta nel Duomo di Milano veniva finalmen-
te inaugurata nel 1948…
Epilogo
L’artista ebreo continuava ad essere amato dalle sfere vaticane, tanto che nel
1952 collocò sul monte Mario di Roma la gigantesca statua in rame sbalzato denomi-
nata
Madonna Salus Populi Romani
(rifatta per una collina di Boston), divenuta uno
dei simboli più icastici dell’epoca degasperiana.
Ma lo scultore andava realizzando sculture sacre un po’ in tutt’Italia: a Milano,
dove era tornato a vivere nell’estate 1945 (tra le tante, il marmoreo pulpito per la
chiesa di Santa Maria di Lourdes), a Padova (un alto candelabro per la basilica di
Santa Giustina), a Pescara (la statua di San Cetteo, di un taglio neo-estense, quasi
‘alla Francesco Messina’), a Piacenza (un notevole
Cristo risorto
per il cimitero), a
Rapallo (la porta centrale in bronzo della basilica dei Santi Gervasio e Protasio), a
Frascati (una
Crocifissione
per il Collegio di Villa Sora). Oberato di richieste e ormai
anziano, il ferrarese si avvaleva dell’opera di collaboratori, a cominciare dallo scul-
tore bergamasco Piero Brolis.
Un altro suo importante ‘aiuto’ fu il conterraneo Marco Bisi, il quale dedicò alle
sue opere religiose un interessante articolo, che acutamente a proposito delle sue tan-
te
Crocefissioni
evoca l’eco del Quattrocento estense, nella fattispecie della pittura
di Ercole De’ Roberti, «ossia: l’arte e la terra ferrarese ove il Minerbi iniziò la sua
inequivocabile missione di artista».
Ammalatosi gravemente, Arrigo Minerbi decise di farsi operare nella prima-
vera 1960 in una clinica privata di Padova, posta in via Diaz e in cui operava come
medico un suo nipote discendente dal fratello Rino, ma l’operazione non riuscì e lo
scultore morì il 10 maggio 1960.
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