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riflessioni che vi si tenevano sviluppavano le idee, che nel campo teori-
co ed intellettuale, ispiravano e guidavano l’azione degli appartenenti al-
la comunità ebraica, sia nel contesto cittadino, che in quello politico-so-
ciale del paese
[62]
.
L’imposizione dunque dell’internamento degli Ebrei nel Ghetto, come
misura coercitiva per controllare e contenere la loro capacità imprendito-
riale, ritenuta invasiva del sistema col quale interagivano, seppe trasfor-
mare il concetto di staticità, che ne era il fondamento, in una forza dina-
mica, atta a favorire non solo la solidarietà, sempre più partecipata all’in-
terno del gruppo, ma anche la progressiva penetrazione della presenza
ebraica nella realtà socio-politica ad essa coeva. Il Ghetto era nell’insie-
me una città nella città: una realtà in cui “
l’educazione scolastica era ob-
bligatoria, il forno rituale, ove le Confraternite svolgevano i compiti di as-
sistenza più disparati, seguendo le persone dalla nascita alla morte…il
tutto era garantito da una amministrazione oculata… che si reggeva su
un sistema di autotassazione creato per soddisfare i bisogni di una popo-
lazione numerosa ma meno ricca
” (Ravenna P., 1994)
[63]
di quanto l’im-
maginario collettivo favoleggiava.
Max Ascoli e Ferrara
Il Ghetto