Benè Romì
, figli di Roma, poi gli italiani di “scola tedesca” e quelli
di “scola spagnola”, versione nostrana degli askenaziti e dei sefar-
diti. Inoltre nel secondo dopoguerra l’Italia è stata rifugio di ebrei
provenienti da nuove diaspore. Così oggi fra gli ebrei italiani ci
sono egiziani, libici, turchi, persiani, libanesi eccetera.
Gruppi questi ultimi legatissimi alle proprie tradizioni, ma oggi
ormai ampiamente integrati nella piccola ma variegata
Comunità Ebraica Italiana.
A proposito di ferree divisioni e di strettissimi legami alle pro-
prie tradizioni, mi è stato raccontato da un caro amico di ori-
gini tripoline, di una zia che, orripilata dal fatto che una nipote
avesse sposato un ebreo italiano di “scola tedesca”, andava
dicendo in giro che la ragazza aveva “fatto matrimonio misto”,
termine usato colloquialmente quando il matrimonio avviene
con un non ebreo.
«Tutte le anime che avevano forgiato»
Ai tempi della Bibbia, le donne appaiono, a prima vista, prive di
lineamenti propri: spesso sono persino senza un nome. Ma a
ben guardare fin dall’epoca di Sara, l’antica matriarca, la donna
è stata, al contrario, una figura importantissima nella vita del
Popolo ebraico.
La traduzione tradizionale del quinto verso della Parashà Leh-
Lehà (Gen. 12:1 – 17:27). dice letteralmente: «[Abramo]
prese con sé Sara sua moglie, Lot figlio di suo fratello, tutti i
beni che possedevano e le persone che avevano messe insieme
in Charan» (Gen. 12:5). In un
midrash
, i commentatori affer-
mano che, poiché la parola “
nefesh
” – in questo caso tradotta
con persone – è normalmente intesa come “anima” e i termini
“
asher-assu
” possano dar maggior senso se tradotti “fare” o
meglio “forgiare”, una miglior traduzione del verso potrebbe
essere: «[Abramo e Sara] portarono con loro tutte le anime
che avevano forgiato» (Ber. R. 39:14).
Forse è per questo che in tempi rabbinici venne stabilito che è
ebreo colui o colei che è figlio di madre ebrea, colei che forgia
l’anima dei propri figli.
È certamente per questo che i miei due minuscoli
midrashim
parlano di donne e del loro modo diversissimo, ma in realtà
comune, di educare la nipote all’ebraismo. Una era una donna
solo in apparenza più sapiente, che osservava moltissime
miz-
vòt
: il Sabato, il dovere dell’ospitalità, la cucina tradizionale,
l’invito a non giudicare con malevolenza gli altri e quello allo
studio. L’altra molto colta e raffinata, sembrava più fragile della
prima e pareva sapere meno di cose ebraiche, ma come
Hannah, madre di Samuel il Profeta, aveva il dono raro di saper
pregare dal cuore e trovava la sua forza nella fede semplice di
chi parla direttamente col Signore.
«Si cinge di forza, svolge il proprio lavoro con
vigore» (Pr. 31:17): Miriam la Profetessa
La nonna Marianna, di sabato mattina, sedeva sulla poltron-
cina, ricamata da lei stessa a piccolo punto, vicino alla finestra
del suo salottino. In mano il libro di preghiere rilegato in pelle,
leggeva in ebraico le orazioni di Shabbat poi, da un grande libro
che tanto mi affascinava, leggeva la
Parashà
, il brano biblico
della settimana. Era considerata da tutti una donna saggia e
sapiente di ebraismo. I suoi discorsi, sempre coloriti dal dia-
letto giudaico modenese, erano pieni di buon senso, di impre-
scindibili e severe certezze e di senso dell’umorismo. Adorava
far da mangiare e riteneva che, «poiché il cibo per andare allo
stomaco, passa dal cuore», nutrire coloro che amava fosse
l’unico buon modo per dimostrare il suo affetto. La nonna
Marianna aveva il dono naturale dell’ospitalità, la sua casa
aperta sempre a tutti, alla sua tavola lunghissima sempre un
posto per chi arrivava all’ultimo momento. Quando è mancata
mi ha lasciato un quaderno nero coi bordi rossi su cui aveva
scritto minuziosamente le sue ricette di cucina ebraica mode-
nese (che dava sbagliate alle sue otto cognate, gelosa dell’af-
fetto per i suoi fratelli e per il fratello di suo marito) in cui il
cioccolato si misura in centesimi e la ricetta degli amaretti da
fare per
Purim
«è quella più buona dell’altra». Mi ha lasciato
anche un imperativo in giudaico modenese: «non far la shofe-
tessa, fai la hahamessa, vai e studia», il cui succo può essere
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Mai così pochi, mai così diversi
Per raccontare ventidue secoli di storia dell’ebraismo italiano
non basterebbero due volumi di mille pagine. Io non ho tutto
questo spazio. Voi, miei cinque lettori di manzoniana memo-
ria, non avreste tutta questa pazienza.
Perciò vi narrerò due brevi storie su due donne di tempo fa che
daranno un poco il segno di quanto variegato e curioso sia que-
sto piccolo mondo che è l’ebraismo italiano.
Tocca tuttavia che, prima, vi dia qualche dato. «Uffa, però»,
direbbe una mia minuscola nipotina putativa e forse anche voi.
Ma non posso far diversamente: in fondo è quel che ci si
aspetta da me.
Attualmente gli ebrei in Italia sono poco meno di 25.000
iscritti alle Comunità ufficialmente riconosciute. Il professor
Sergio Della Pergola della Hebrew University di
Gerusalemme, nel suo saggio sulla popolazione ebraica mon-
diale del 2010, afferma che a queste persone, vanno aggiunti
altri 3.500 ebrei, non iscritti per svariati motivi ad alcuna
Comunità. In totale gli ebrei presenti sul territorio italiano
sono quindi 28.400. Pochissimi.
Non solo gli ebrei in Italia sono pochissimi: sono diversissimi
tra loro, per livello di osservanza delle leggi dell’
Alachà
, per
minhag
(riti e usanze), per provenienza.
In America gli ebrei convertiti vengono chiamati “
Jews by
choice
”, “ebrei per scelta”. In molti affermano che, in realtà, nel
mondo odierno, in cui la libertà di religione è un valore in tutti
i Paesi dove vivono gli ebrei, ogni ebreo lo è per scelta. Si può
andare a pregare in sinagoga, oppure no (e si può scegliere la
sinagoga in base al rito seguito). Ci si può attenere alle
mizvòt
,
scegliere a quali ubbidire e lasciar perdere le altre. Si possono
seguire le tradizioni che segnano i grandi momenti della vita o
ignorarle. Si possono osservare il Sabato e le grandi Feste che
disegnano il “Santuario nel Tempo” che è il calendario ebraico
nei modi più svariati: conosco un’ebrea davvero per scelta, che
non riesce proprio a digiunare il giorno di Kippur e un pochino
deve mangiare e bere. Ruth, la chiamerò così in onore della più
straordinaria delle convertite, fa penitenza in un’altra maniera:
non parla per tutte le 25 ore della più solenne delle ricorrenze
ebraiche. E a chi ti chiede «Ma tu mangi
kasher
?», si può
rispondere con una risata: «Anche!»
Certo i nostri Rabbini, i nostri Maestri, battagliano in tutto il
mondo per riportare i propri fedeli nell’alveo dell’ortodossia.
Ma è dai tempi di Mosè, il nostro Maestro per eccellenza, che
gli ebrei sono un popolo di ribelli, che amano il dibattito, che
preferiscono le domande alle risposte certe.
A complicar le cose vi è però dell’altro. Esistono nel mondo
vari tipi di ebraismo. Ci sono gli Ortodossi, che al loro interno,
poi, hanno un’infinità di sfumature: dai più strettamente ligi
alla normativa ebraica che, metaforicamente, si escludono dal
mondo moderno, ai cosiddetti Modern Orthodox, scrupolosa-
mente osservanti, ma aperti, spesso apertissimi, alla cultura e
alle società attuali. Nelle Americhe, in Europa e in parte in
Israele, ci sono poi altri movimenti più liberal, i Conservative-
Masorti e i Riformati, a loro volta pieni di sotto gruppi, che gli
Ortodossi spesso non considerano propriamente ebrei, anche
se, in quanto ad ortoprassi, cultura e sapienza, molti non
abbiano nulla di differente dai Modern Orthodox, se non che,
da una trentina d’anni, spesso a officiare le loro funzioni c’è una
donna (direte: cosa da niente!). Negli Usa, in Inghilterra e in
Francia sono i due gruppi più numerosi.
L’ebraismo italiano si definisce Ortodosso, ed è perciò ricono-
sciuto a pieno titolo dal Rabbinato Israeliano.
«Finito di complicarci la vita?», mi chiederete. Per dirla in giu-
daico modenese: «Nianca bah-halom!», neanche per sogno.
Nella grande “offerta” dell’ebraismo odierno sopravvivono poi
altre grandi distinzioni classiche e antiche, che in alcuni casi
sono ancora più ferree nelle loro divisioni. Ci sono le due
grandi suddivisioni tradizionali: gli ebrei askenaziti e i sefarditi.
E ci sono gli ebrei Persiani, i
Bnè Israel
che vivono in India, i
Falasha
che vengono dai paesi africani che affacciano
sull’Oceano Indiano. Ci sono anche alcuni ebrei cinesi.
Poi ci sono gli ebrei italiani propriamente detti, gli
Italkim
, che
non rientrano in nessuno dei gruppi di cui sopra. E fra loro: i
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