Ebrei a Ferrara (XIII-XX sec.). Vita quotidiana, socialità, cultura - page 9

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Jacob Norsa accendendo con lui un vitalizio.
Particolarmente delicate le parole di Bella
Rosa che, a trentotto anni, si definiva
d’età
avanzata nubile, ma di cagionevole salute
, im-
petrando all’acquirente delle
di lei ragioni
materne di non grande entità
affinché si ob-
bligasse a
mantenerla e trattarla decentemente
vita naturale di lei durante, come una della di
lui famiglia
.
Lo
jus kazakà
era divenuto una pratica
talmente radicata da essere utilizzato anche
per edifici al di fuori del ghetto: il 5 maggio
1836, i fratelli Salomone, Giuseppe e Davide
Pesaro hanno concesso a David del fu Abram
Tedeschi
lo Jus Casacà della Casa in Strada del
Pallone N°. 3352
, quindi in zona esterna al
ghetto
.
Il ricorso allo
jus kazakà
da parte di
proprietari ebrei, che può apparire come
un’assurda anomalia, è stato probabilmente
motivato dall’esigenza di attribuire un senso
di stabilità ad una situazione che gli affittuari
del ghetto temevano potesse essere interpre-
tata o risultasse come temporanea ed effi-
mera. Tanto è vero che, nel 1749, gli ebrei
acquirenti lo
jus kazakà
dell’edificio in cui già
abitavano hanno ritenuto necessario affidare
al notaio le ricevute di pagamento,
reccapiti
,
che comprovavano la
quasi centenaria del le-
gittimo e pacifico possesso della kazachà
nel ti-
more che
si smarriscano e restino perduti
.
Dietro questo desiderio traspare la paura, di
origine atavica e ormai profondamente radi-
cata, di vedere cancellati ogni conquista e
qualsiasi beneficio faticosamente raggiunti:
anche l’essere affittuari da quasi un secolo po-
teva fornire una sorta di patente di legalità
che infondeva sicurezza e serenità a chi,
troppe volte, aveva perso ogni avere.
Lo
jus kazakà
poteva anche essere con-
cesso in subuso: era la situazione, frequentis-
sima, cui soggiacevano gli immobili avuti in
cessione dall’Università degli Ebrei (nome at-
tribuito nel tempo alla Comunità ebraica) in
prima persona e, da essa, trasferiti ad altri.
Ecco, quindi,
Moisè Cesare Finzi e Abramo
Rocca
che abitano e conducono a titolo d’uso
la casa al 2502 di via dei Sabbioni, l’edificio
era di proprietà di Alessandro Canonici ed il
suo uso
fù già istituto dalla Università di que-
sto Ghetto, e questa la tiene ad uso Kazakà dal
detto proprietario.
Il risultato di questa evoluzione giuri-
dica e di tradizioni può essere paragonato, in
certi aspetti, all’enfiteusi ed al feudo nel di-
ritto medievale in quanto, anche nel caso
dello
jus kazakà
si assiste ad una scissione del
diritto reale originario con la costituzione di
due ‘domini’ paralleli e ben separati, l’utile
ed il diretto. Questo è evidente in particolari
situazioni, ad esempio quando un ebreo con-
vertito alla religione cristiana era al tempo
stesso erede di immobili soggetti allo
jus ka-
zakà
: con automatismo perfetto, la famiglia
ebrea perdeva quel diritto d’uso,
mentre il
neofita risultava investito da semplice livello
ed egli, a sua volta, cedeva l’unità edilizia in
subuso. Proprietari di beni in ghetto non
erano solo cittadini
ma anche e soprattutto
nobili (anche non ferraresi), congregazioni
laiche e religiose, conventi ed ecclesiastici a
titolo personale, la stessa Camera Apostolica.
Fra le innumerevoli circostanze esemplifica-
tive: il 30 ottobre 1640 il
marchese Sigi-
smondo
Coccapani
di
Modena
ha
permutato un suo fabbricato in via Gatta
Marcia con un altro di proprietà del conte
Alfonso Perondoli; il 23 gennaio 1754, la
Mensa Arcivescovile ha investito a titolo
jus
kazakà l’Eccellente di Filosofia e Medicina
Dott. Giacobbe Zaolon Ebreo ferrarese
di ra-
gione delle Compagnia del Santissimo Sacra-
mento, dell’uso di un
guasto
dove un tempo
era una stalletta, ancora in via Gatta Marcia;
il
Cittadino Sacerdote
Girolamo Baruffaldi ha
venduto la sua proprietà in via Gatta Marcia
a Marianna Chiozzi Baruffaldi, nel 1804.
L
AURA
G
RAZIANI
S
ECCHIERI
Renato Castelfranchi
Nato a Ferrara il 6 novembre 1878, socialista,
motivo per cui «in pubblico – recita la sua scheda biografica
di polizia aperta nel 1902 - risente fama poco buona (…) è di carattere piuttosto mite, educato, intelligente,
ha molta cultura ed è laureato in chimica». Produttore di liquori, tenne conferenze, nelle campagne ferraresi
tra il 1901 e il 1902. Segretario della federazione comunale delle leghe di Argenta, poi della Camera del
lavoro di Cremona ed infine, nel 1903, di quella bolognese.
Di «cattiva condotta politica»,«propagandista
sfrenato» in grado di «rendersi pericoloso», divenne poi interventista, aderendo successivamente al P.N.F.,
iscrizione forse fittizia, perché fu sempre sospettato di non aver mai abbandonato le idee socialiste. Internato
ad Apecchio (PU) nel 1940, perché sorpreso con un anarchico ed un antifascista, venne liberato solo dopo
la caduta di
Mussolini, il 29 luglio 1943. Fu tra le decine di arrestati, dopo l’uccisione del federale di Ferrara.
Trasferito all’ospedale S. Anna in dicembre, venne portato nella Sinagoga di via Mazzini, dove gli fu seque-
strato un orologio d’argento. Partì il 12 febbraio 1944 per il campo di Fossoli; da lì il 22 per Auschwitz.
Venne ucciso il giorno del suo arrivo al lager, il 26 febbraio 1944.
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Nota relativa alla deportazione al campo di Fossoli (Carpi) di Renato Castelfranchi (A
RCHIVIO DI
S
TATO DI
F
ERRARA
,
Questura, gabinetto, categoria A8 ebrei, busta 1, fascicolo 27).
Estratti della lettera di Renato Castelfranchi al Capo della Provincia di Ferrara Enrico Vezzalini, 23 dicembre
1943 (A
RCHIVIO DI
S
TATO DI
F
ERRARA
,
Questura, gabinetto, categoria A8 ebrei, busta 1, fascicolo 27).
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