Ebrei a Ferrara (XIII-XX sec.). Vita quotidiana, socialità, cultura - page 7

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Fra le carte dell’Archivio di Stato di
Ferrara si possono trovare i gesti della quo-
tidianità, le vicende private, i rapporti fami-
gliari, l’operare febbrile degli ebrei ferraresi:
questo attenua il rimpianto che l’Istituto
non annoveri i documenti istituzionali che
hanno regolato nel tempo la presenza
ebraica in città.
Le pergamene dell’Arcispedale San-
t’Anna ci forniscono spaccati di vicende in-
dividuali, quasi istantanee della presenza
ebraica fra XIII e XIV secolo: si presenta a
noi
dominus Bomcambius iudeus
che, nel
1280, in nome e per conto di
domina
Bella
vedova dell’ebreo Biadino (la quale, a sua
volta, agiva come tutrice di Bonaventura,
Imperia ed Onorata, figli suoi e del suo de-
funto marito) ha venduto per 14 lire di fer-
rarini vecchi al sarto Marcobono un terreno
con vigne posto nel polesine di San Giorgio
di diretto dominio della chiesa di San Laz-
zaro, dalla quale Bomcambio deteneva il di-
ritto d’uso in nome della detta Bella. L’anno
seguente, ritroviamo gli stessi contraenti nel
palazzo del comune di Ferrara, dove
Bon-
cambius iudeus
ha dichiarato di avere rice-
vuto da Marcobono cinque soldi di veneti
grossi a saldo del debito contratto. Invece, il
dominus
Marchisio Mainardi era divenuto a
più riprese debitore di
Isac iudeo
figlio di
ser
Salamonis iudei
: per quattro lire di veneti
grossi e di dieci soldi di grossi, poi di tre-
cento soldi di veneti grossi, ancora per venti
soldi di veneti grossi, infine di venti soldi di
veneti di grossi, per cui nel 1300 il signore
si è risolto a cedere ad Isaac in saldo dei de-
biti un edificio nella contrada di Santa
Maria Nuova.
Nel 1311,
Graciadeus filius
Salimbeni iudei
ha nominato
Proenciallem de
Mascharinis
di
Mantova procuratore speciale
a prendere possesso di una pezza di terreno
vitata posta
in fundo Vigoencie
in località
Ru-
gollate
, che Graziadio aveva acquistato da un
gentile
.
Per parte sua, il fondo Notarile Antico
è fonte quasi inesauribile di episodi e fatti:
con un lavoro lento ed appagante, sfo-
gliando i protocolli e le schede dei notai co-
nosciamo situazioni e protagonisti, legami
famigliari e sposalizi.
Diveniamo partecipi
dell’ammontare e della consistenza in beni
mobili e personali come in denaro che il
padre cedeva come dote della propria figlia,
e del
Tosefed
o sopradote che lo sposo ag-
giungeva e che prometteva di restituire nel
caso se ne fosse presentata la necessità (di-
vorzio o morte della sposa); fra i tanti, spicca
il dono di 100 per le nozze e secondo la tra-
dizione in vigore a Pisa che Mele di Angelo
da Ferrara faceva a Isacco di
Manuele
alias
Pauli
, ebreo di Pisa, fratello della sua futura
moglie Bianca, nel 1483. Spesso i contraenti
dichiaravano che i patti dotali erano la tra-
duzione fedele della
ketubah
a lettere ebrai-
che: piccola consolazione per la perdita, mai
sufficientemente lamentata, della documen-
tazione di produzione ebraica. Per tale ra-
gione, facciamo riferimento a quanto i
protagonisti
hanno
dettato al
notaio
quando, nel 1481,
Shemuel
detto Mele figlio
U
n percorso nella vita ebraica dal XIII al XIX secolo
nei documenti dell’Archivio di Stato di Ferrara
di Salomone da Roma ha acquistato da
Deodato fu Sabato Norsa l’edificio con bot-
teghe nella contrada dei Sabbioni dove erano
il banco di prestito e l’oratorio degli ebrei.
Mele aveva incaricato quattro fiduciari sia
dell’acquisto dell’edificio sia della conserva-
zione della sinagoga. L’atto di acquisto è an-
cora più esplicito sulle intenzioni del
compratore e sulle condizioni di accetta-
zione da parte degli esecutori, i quali hanno
dichiarato che avrebbero conservato e pre-
servato in perpetuo ad uso degli ebrei il
luogo deputato ai servizi religiosi nell’edifi-
cio predetto.
Quando poi ser Mele ha det-
tato il suo testamento, ha nominato cinque
curatori: con gesto lungimirante, ha costi-
tuito una fondazione che doveva gestire la
sinagoga preservandola per i discendenti
degli ebrei di Ferrara, quando ancora non
era neppure stata ipotizzata tale comunità.
Del banco di pegni compreso nell’edificio
non fanno menzione specifica né i rogiti né
la memoria riassuntiva elaborata nel 1487
da Abraham Farissol, l’erudito di Avignone
che si è stabilito a Ferrara nella seconda metà
del Quattrocento, il cui testo è scolpito sulla
lapide marmorea nella Sinagoga italiana.
Di rogito in rogito si può ricostruire
l’attività dei banchi di prestito, dalle società
spesso formate da cordate di famiglie anche
non residenti a Ferrara che nominavano pro-
pri rappresentanti e fiduciari, alle cessioni di
quote dell’azienda feneratizia. Vediamo, ad
esempio, che ha cessato l’attività il banco
ubicato nella contrada di Borgoricco presso
la corte vecchia degli Estensi, la cui presenza
non è testimoniata oltre il 1456: si trovava
nell’area di profonda trasformazione del pa-
lazzo marchionale (e poi ducale). Le carte
non descrivono le ragioni di tale chiusura: i
fratelli
Manuel, Beniamin e Vitale del fu
Consilio da Corinaldo, che lo avevano ge-
stito fino al 1456, sono rimasti a vivere a
Ferrara anche dopo la cessazione dell’attività,
così come almeno qualche loro discendente
ed erede, ma dal 1458 risultano tutti abitare
in un’altra zona urbana, nella contrada di
Sant’Agnese.
Dalla penna dei notai ferraresi appren-
diamo i dettagli delle contrattazioni nei ban-
chi: il
nobile che
portava in
pegno
suppellettili d’argento o tessuti preziosi, la
vedova che impegnava le lenzuola consunte
o le scodelle, l’aristocratico imprenditore che
stipulava un prestito per intraprendere le bo-
nifiche di terreni nel forese. Tutta la città è
passata nelle botteghe dei
foeneratores
, anche
i rappresentanti del clero, per i quali era ne-
cessaria una particolare dispensa.
Fra le carte notarili è rimasta traccia
delle attività commerciali ed artigianali la cui
pratica era consentita agli ebrei, prima fra
tutte la
strazzeria
, il commercio di tessuti ed
abiti usati di cui gli ebrei entravano in pos-
sesso tramite acquisto diretto o come pegni
non riscossi nei loro banchi. La lunghissima
durata degli abiti permetteva agli agiati di
ammortizzare in parte il pesante costo ini-
ziale, ai meno facoltosi di venire in possesso
di vestiario di qualità anche ottima se pure
non di prima mano, alle rinomate rammen-
datrici ebraiche di intervenire più e più volte
ad ogni passaggio di proprietà,
mano a
mano che gli indumenti venivano in uso alla
popolazione meno abbiente.
Un
motu pro-
prio
elargito nel 1535 spiega che con il ter-
mine
di
strazzeria
doveva intendersi
comprare et far comprare, vendere et far ven-
dere, tagliare, cusere, adaptare et scavezare
panni di lino, lana, seda, d’argento et d’oro,
tapezarie et altra sorte de robbe, et fare così de
novo come de vecchio
.
Un aspetto commerciale che si è spesso
tramutato in un’imposizione, talora anche
dannosa economicamente, è stata la sovven-
zione di vettovaglie e di articoli di casermag-
gio per le truppe di stanza o di passaggio,
durante il governo pontificio. Come questa
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