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Il paesaggio ferrarese secondo Antonioni

Il regista sorride con il Palazzo Ducale alle spalle

Il paesaggio è uno degli elementi fondamentali del suo cinema, la cui messa in scena si fonde a una visione trasfigurata di luoghi reali. La città di Ferrara, così come la sua provincia, è il primo modello paesaggistico che vediamo nel suo documentario d’esordio Gente del Po (1943-1947), ma anche nell’inizio di Cronaca di un amore (1950), ne Il grido (1957) e nell’opera filmica più matura del 1995 Al di là delle nuvole, diretta insieme a Wim Wenders.

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Riguardo al paesaggio della sua giovinezza, Antonioni racconta:

 

Il Po di Volano appartiene al paesaggio della mia infanzia, il Po a quello della mia giovinezza. [...] Erano immagini di un mondo del quale prendevo coscienza a poco a poco. Accadeva questo: quel paesaggio che fino ad allora era stato un paesaggio di cose, fermo, solitario, l’acqua fangosa e piena di gorghi, i filari di pioppi che si perdevano nella nebbia, l’Isola Bianca in mezzo a Pontelagoscuro che rompeva la corrente in due, quel paesaggio si muoveva, si popolava di persone e si rinvigoriva. Le stesse cose reclamavano un attenzione diversa, una suggestione diversa. Guardandole in modo nuovo, me ne impadronivo. Cominciando a capire il mondo attraverso l’immagine, capivo l’immagine. La sua forza, il suo mi- stero. Appena mi fu possibile, tornai in quei luoghi con una macchina da presa. Così è nato Gente del Po. Tutto quello che ho fatto, buono o cattivo che sia, parte da lì.

Quando nel 1939 compare sulla rivista «Cinema» il celebre articolo intitolato Per un film sul fiume Po, Antonioni manifesta, infatti, le proprie riflessioni sul senso e sulla necessità di ideare un progetto cinematografico incentrato sulla popolazione che abita lungo le rive del fiume:

 

Non è affermazione patetica dire che le genti padane sono innamorate del Po. [...] La gente padana sente il Po. In che cosa si concreti questo sentire non sappiamo; sappiamo che sta diffuso nell’aria e che vien subìto come sottile malia. è, del resto, fenomeno comune a molti luoghi solcati da grandi corsi d’acqua. Pare che il destino di quelle terre si raccolgano nel fiume. … Si stabilisce, in altre parole, un’intimità speciale.

Antonioni molto probabilmente si riferisce a un «sentire» atavico che lega queste genti al Po. La rappresentazione che emerge dalla descrizione fornita dall’autore si riferisce, però, a un determinato periodo storico, per cui questo sentire sembra, oggi, essersi affievolito, sicché il paesaggio fluviale – così come Antonioni lo percepisce – è ora trasformato ed è ormai un pallido ricordo di quello che è stato negli anni a ridosso della seconda guerra. Antonioni e Ferrara.

 

Sebbene abbia viaggiato in tutto il mondo e abbia trascorso a Roma la maggior parte della sua vita, Antonioni ha mantenuto legami molto saldi con la sua città  d’origine, come dimostrano le affermazioni del regista sopra citate. Nel 1938 sulle pagine del «Corriere Padano», Antonioni redige uno scritto dal titolo Strada a Ferrara e descrive le personalissime sensazioni nei confronti di un paesaggio natio:

 

C’è una viuzza a Ferrara, dove non si va quasi mai. O se anche si va è di sfuggita, frettolosamente, per passaggio. Ha un nome che non le si addice e le deriva dall’arte di lavorare e istoriare i corami [...]. Come sia lo potrei dire minuziosamente: l’ho stampato a memoria. Potrei dire che la costeggia a sinistra un lungo muro spruzzato in cima di vetri rotti e verdi, evocanti fantasie di foglie finte; che grandi alberi pensosi, avviluppati d’edere e di licheni, rivelano all’interno un secolare parco in balia del tempo, inselvatichito da un groviglio d’erbacce che crescono con l’aiuto di Dio e si dissetano ai temporali; che ogni tanto dal muro n’esce un ciuffo che pare il ricciolo ribelle di una maga. Potrei dire che a metà questo muro s’interrompe e lascia posto a una specie di chiesetta recante in alto una minuscola cupola sormontata da una croce, ma che una chiesa non è bensì una casa, e l’abita qualcuno che non so; so che vi si gode la frescura del verde fitto, un’aura umida di selva e il concerto mattutino dei passeri che pare rechino il giorno nel vicolo su di loro trilli rapidi e luminosi. Potrei dire che più oltre il muro riprende celando un giardinetto breve ai piedi di un palazzo che fu dimora elegantissima fra le eleganti di questa aristocratica città, e che ora una magnolia vi è cresciuta a fianco e gli ha rubato un poco d’eleganza. Tutto ricordo, coi toni e coi riflessi. Ricordo che dall’altro lato stride la stonatura del marciapiede; i ciottoli s’adatterebbero meglio; che una fila di case linde e regolari, simili a costruzioni di cartone entro cui le bambole e pupazzi vivono la loro immobile vita, dal marciapiede si partono verso il cielo a cercar luce e respiro. E ricordo che le inferriate hanno l’aria vezzosa e la verni- ce recente; che gli usci di legno chiaro luccicano di copale e le targhette d’ottone ri- specchiano immagini deformate. Ricordo il rinascere anche qui del muro e lo sbocco della via in un melodrammatico quadrivio dominato dallo spigolo acuto di una casa sanguigna. [...] Di questa viuzza so tutto [...] e la conosco anche quando pio-ve questa bizzarra stradina. So gli agili rivolete tra i sassi appuntiti, di dove spunta- no, intrisi d’acqua, esilissimi fili di un’erba elegantuccia; so, nel silenzio disabitato, il friggere della pioggia sul marciapiede e il brontolio delle gocce sulle foglie.

 

Il silenzio e l’austerità del paesaggio ferrarese lo accompagneranno lungo la sua carriere cinematografica. In molte opere compare spesso questo modello paesaggistico anche quando a essere messi in scena non sono i luoghi della Pianura Padana a lui cara, ma certe atmosfere e certe sensazioni che ci rammemorano, grazie alla forza suggestiva delle immagini, quel paesaggio giovanile al quale Antononi è sempre rimasto legato.

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Ente Responsabile

  • Assessorato alla Cultura e al Turismo, Comune di Ferrara

Autore

  • Doris Cardinali
  • Matteo Bianchi