Scheda: Soggetto - Tipo: Ente

Comunità ebraica di Cento

Ghetto di Cento. Fotografia di Federica Pezzoli, 2015. © MuseoFerrara

La presenza ebraica a Cento risale alla fine del XIV secolo, ma è con gli Estensi che vive il suo periodo di fioritura. Dal XVII secolo inizia un progressivo decadimento che porta nei primi del Novecento alla fusione con la comunità ebraica di Ferrara.


Attività: 1390
Prime notizie di prestatori ebrei a Cento

Date note sulla vita: 1502
Il territorio centese e i suoi abitanti passano dal dominio pontificio a quello estense

Date note sulla vita: 1624 - 1636
Istituzione del ghetto di Cento

Date note sulla vita: 1796
Prima apertura del ghetto

Date note sulla vita: 1831 - 1833
Apertura definitiva del ghetto

Fine/Cessazione: 1902
Scioglimento della Comunità che confluisce in quella ferrarese

Morte: 1956
Morte di Bice Finzi, l’ultima componente della comunità ebraica centese

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  • Ferrara ebraica

1. Dai primi insediamenti al secolo estense

L’inizio della vicenda ebraica a Cento risale al 1390, anno cui risale un atto notarile nel quale l’ebreo Manuele del Gaudio dichiara di aver ricevuto 120 lire da Bartolomeo Grazioli a restituzione di un prestito che gli aveva fatto. Da questo momento fino al XV secolo la presenza ebraica in città è costante e documentata. Le attività maggiormente praticate dai componenti della comunità sono il prestito di denaro e la medicina, come dimostra il fatto che nel 1467 al medico ebreo Mosè Teutonico viene affidata la cura di un ragazzo cristiano in virtù della fiducia che il padre ripone nelle sue capacità professionali. Nel 1502 con il matrimonio fra Lucrezia Borgia e Alfonso I d’Este il territorio centese passa dal controllo papale a quello estense e vi rimane fino al 1598 quando tutto il ducato estense entrerà a far parte dello Stato Pontificio. Per gli ebrei inizia un periodo di sviluppo e fioritura, anche grazie all’arrivo degli ebrei ponentini provenienti dalla Spagna e dal Portogallo, attirati dalla politica di accoglienza della casa d’Este.

2. Il ghetto

Nel 1624 Papa Urbano VIII ordina ufficialmente la concentrazione degli ebrei della legazione pontificia nei ghetti di Ferrara, Lugo e Cento, ma è solo nel 1636 che il legato pontificio bolognese Stefano Durazzo detta le norme relative a quest’ultimo. La scelta cade su un’area centrale della cittadina, fra via Grande (oggi via Marcello Provenzali) e il Borgo di Domani (oggi via Olindo Malagodi), già abitata da alcune famiglie di ebrei centesi. Alcuni proprietari cristiani devono cedere le proprie abitazioni al responsabile della Comunità Mandolino Simone Padoa in affitto perpetuo e quest’ultimo assegna i locali ai 13 capifamiglia, già residenti o che vi si trasferiscono da altre zone della città. I rapporti con la popolazione cristiana rimangono buoni, ma nel corso del XVII e del XVIII secolo la situazione economica della città, e quindi anche degli ebrei centesi, si aggrava sempre più soprattutto a causa delle inondazioni del fiume Reno. Per molti l’unica soluzione è l’emigrazione: un esempio è Beniamino D’Israeli, il cui nonno Isacco era giunto a Cento all’inizio del Settecento da Venezia. Nel 1748 Beniamino lascia Cento per l’Inghilterra, dove suo figlio Isaac (1766-1848) si allontana dalla comunità sefardita londinese, cambia il cognome in Disraeli e fa battezzare i quattro figli: il secondogenito è Bejamin Disraeli (1804-1881), consigliere e primo ministro della regina Vittoria.

3. L'Ottocento

I cancelli del ghetto vengono aperti per la prima volta nel 1796 con l’arrivo delle truppe francesi, ma nel 1825 sono ripristinati a spese dei 73 ebrei allora residenti a Cento. La fine della concentrazione coatta si ha negli anni fra il 1831 e il 1833. Ci sono notizie di diversi ebrei centesi che partecipano al movimento risorgimentale: Giulio Levi partecipa alla spedizione dei Mille, Lazzaro Carpi è capitano della Guardia Nazionale, al Congresso di Vienna nel 1814 incita gli ebrei europei a difendere i diritti appena conquistati e prende parte ai moti del 1821, suo figlio Leone Carpi (1810-1898) ha contatti con Mazzini, prende parte ai lavori della Costituente romana e diventa poi deputato di Ferrara e del primo Parlamento italiano. Negli ultimi decenni dell’Ottocento inizia un graduale declino che nel 1902 porta al decreto di scioglimento della Comunità, aggregata da allora a quella ferrarese.

4. La seconda guerra mondiale

Dopo il 1917 le uniche rappresentanti della Comunità centese sono le tre sorelle Finzi, che in quanto figlie dell’ultimo shamash (custode) della sinagoga diventano anche le custodi dei luoghi e dei beni ebraici centesi. A causa delle leggi razziali, ad Amelia Finzi, che per anni ha insegnato a Cento, viene revocata la pensione, ma non ci sono altri provvedimenti vessatori nei loro confronti. Negli anni della guerra la sinagoga subisce due volte la devastazione da parte dei fascisti, che sottraggono tutti gli antichi arredi tessili. Inoltre, con l’insediamento nel ghetto di un comando tedesco, vengono bruciati parte della sinagoga e libri, manoscritti e documenti custoditi nei locali attigui. Quello che si è riusciti a salvare è stato poi trasferito a Ferrara: il portale e i banchi ottocenteschi della sinagoga, un aron (armadio dove sono custoditi i rotoli della Torah) e una bimah (la tribuna da cui si legge la Torah) in legno forse provenienti da un oratorio privato e alcuni oggetti di arte sacra. L’aron barocco della sinagoga pubblica è stato portato in Israele nel 1954 e si trova in una sinagoga di Natanya. Nel 1956 con la morte di Bice Finzi la comunità ebraica centese cessa di esistere.

5. La lunga notte del 1943

Anche a Cento, come a Ferrara, la notte del 15 novembre 1943 non è una notte come le altre. La notizia dell’arrivo dei fascisti da Verona, dopo l’uccisone del Federale Ghisellini, provoca sgomento e paura. Bruno Alberghini, figlio della domestica delle sorelle Finzi, intuisce il rischio che corrono gli oggetti conservati nel ghetto, custoditi ormai solo dalle anziane signore. Secondo quanto racconta la sorella Adele a Tiziana Galuppi, Bruno decide di fare qualcosa: aiutato da un amico sellaio che ha la sua bottega nel ghetto, sale le scale, entra nella sinagoga e comincia a riporre tutto ciò che è trasportabile in due sacchi di juta, compresi i rotoli della Torah e i loro ornamenti. Grazie all’anziano prete della chiesa di San Pietro, don Galletti, quei due sacchi rimangono nascosti sotto l’altare maggiore fino alla fine della guerra, quando vengono restituiti alla comunità ebraica di Ferrara.

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Ente Responsabile

  • Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara

Autore

  • Federica Pezzoli
  • Sharon Reichel