Il mestiere delle armi - Li ultimi fatti d'arme dello illustrissimo Signor Joanni de le Bande Nere
Regia: Ermanno Olmi
Interpreti: Hiristo Jivkov, Sergio Grammatico, Dimitar Ratchkov, Sandra Ceccarelli, Fabio Giubbani
Fotografia: Fabio Olmi
Musica: Fabio Vacchi
Durata: 105’
1956, alle porte di Mantova il ventottenne condottiero Giovanni dalle Bande Nere (Jivkov), comandante delle truppe pontificie, cerca di contrastare la discesa dei Lanzichenetti di Carlo V. Viene ferito a tradimento da un colpo di falchetto, perde la gamba e, dopo un’ orrenda agonia, muore rimpianto da tutti.
Location
Centro storico di Ferrara
Castello Estense, ponte levatoio
«L’introduzione delle armi da fuoco rivoluziona la guerra: ma Olmi non insiste più di tanto sul passato come specchio del presente, e mette in secondo piano il discorso pacifista. Evita la grandeur del kolossal e come sempre si interessa agli umili, alle vittime o ai soldati bestemmiatori che fanno a pezzi un crocefisso per bruciarlo. [Aiutato dalla fotografia del figlio Fabio Olmi], dipinge una pianura padana fredda, gelida, nebbiosa, vera. Ma soprattutto è affascinato da un giovane eroe santo e dannato, amato dalle donne e vittima della politica. Ed è stato questo lato ad affascinare il pubblico italiano […]; mentre i critici hanno apprezzato la classica parabola sulla caducità della vita, in cui “ogni dettaglio, l’ansimare di una fuga o il guizzare di una candela, sembra messo direttamente davanti all’occhio di Dio”». (Paolo Mereghetti)
«La circolarità e la sineddoche, stilemi fondanti del Mestiere delle armi, sono incastonati dal regista Ermanno Olmi all'interno di una poetica, la sua poetica, che potremmo definire cristiana. Ripercorrendo dichiaratamente la lezione del Rossellini 'storico-didattico', Olmi narra gli ultimi giorni di vita (dal 20 al 23 novembre 1526) di Giovanni de' Medici (Giovanni dalle Bande Nere) capitano di ventura al soldo di papa Clemente VII, suo zio, e impegnato a fronteggiare l'avanzata delle truppe imperiali tedesche contro lo stato pontificio. La narrazione ha suscitato l'interesse del pubblico […], pur concedendo poco alla spettacolarità e al romanzesco, diventando invece una sorta di canzone All'Italia. Un canto sgomento per la guerra, l'ignavia e il piccolo interesse degli staterelli padani (Ferrara e Mantova), che si apre alla più generale condanna della nascente guerra moderna. Le nuove armi che sconvolgeranno le regole fra i belligeranti sono dei piccoli cannoni (i falconetti del duca di Ferrara, minuziosamente ricostruiti), collaudati sulla sagoma di un cavaliere in armatura prima di essere venduti di soppiatto al generale tedesco. Questa è la parte per il tutto principale del film. L'armatura rinascimentale, che immaginiamo riempita dal corpo di un cavaliere, è distrutta da un colpo di falconetto: l'uomo sarà d'ora in avanti un fantoccio, 'carne da cannone’. A Olmi interessa il "mestiere delle armi", il valore e l'onore del singolo, la guerra dal volto orribile ma pur sempre umano. Se il film manca di una evidente drammaturgia strutturata, non è privo tuttavia di drammaticità, nel senso forse più corrente, espressa principalmente dalla figura di Giovanni de' Medici (Hristo Jivkov). Giovane, bello, di un eroismo disperato ed elegiaco, il capitano non si rassegna alla disonorevole nuova guerra, ma saluta lealmente, come volevano le regole d'onore, il suo infido e astuto nemico, il generale dell'esercito imperiale che sogna di impiccare il papa con un cappio dorato. […] Olmi non tralascia di guardare alla pittura coeva ispirandosi, tra gli altri, ai ritratti di Holbein il Giovane per le inquadrature frontali del duca di Mantova, dei cortigiani e del generale tedesco. Evidente inoltre che Olmi, per alcuni primi piani di Giovanni de' Medici, si è ispirato al quadro del Bronzino che ritrae Cosimo I de' Medici, figlio del capitano di ventura». (Gianni Cicali)
Il regista
Ermanno Olmi nasce in provincia di Bergamo nel 1931, ma in giovane età si trasferisce a Milano e s’iscrive all’Accademia di Arte Drammatica; contestualmente lavora alla EdisonVolta dove dirige diversi documentari tra gli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta. Nel 1959 debutta sul grande schermo con Il tempo si è fermato. Sin da questo lungometraggio è evidente l’attenzione del cineasta per i paesaggi rurali e per la gente, gli umili, che li abita. Nel 1961 dirige Il posto, conquistando il favore della critica del settore, seguito da I fidanzati (1963) e Venne un uomo (1965) con Rod Steiger; nel 1977, però, esce il suo grande capolavoro L’albero degli zoccoli che ha come ambientazione la provincia di Bergamo e che si aggiudica premi prestigiosi, ottenendo un grande successo sia in patria che all’estero. Nel 1982 dirige Cammina cammina, una favola sui Re Magi e, dopo una lunga malattia, ritorna dietro la macchina da presa per girare Lunga vita alla signora! (1987) che si aggiudica il Leone d’Argento al Festival di Venezia e La leggenda del santo bevitore, premiato stavolta con il Leone d’Oro. Nel 2003 approda nella Cina Imperiale per raccontare la storia della principessa Ching in Cantando dietro i paraventi, e nel 2005 collabora con Kiarostami e Loach al film collettivo Tickets, i cui episodi sono legati da un viaggio in treno. Nel 2008 riceve il Leone d’Oro alla carriera e nel 2013 l’Università di Padova gli conferisce la laurea honoris causa in Scienze umane e pedagogiche.
Bibliografia
- Adriano Aprà, Ermanno Olmi. Il cinema, i film, la televisione, la scuola, Marsilio, Venezia 2003
- Morando Morandini, Ermanno Olmi, Il Castoro, Milano 2009
- Gianni Cicali, Le armi e gli esclusi dalla storia, in «Drammaturgia», Firenze University Press, 2013
- Laura, Luisa e Morando Morandini (a cura di), il Morandini 2017. Dizionario dei film e delle serie televisivi, Zanichelli, Bologna 2017
- Paolo Mereghetti (a cura di), Il Mereghetti. Dizionario dei film 2017, Baldini&Castoldi, Milano 2017
Ente Responsabile
- Assessorato alla Cultura e al Turismo, Comune di Ferrara
Autore
- Doris Cardinali
- Matteo Bianchi