Scheda: Tema - Tipo: Architettura e urbanistica

Il grandioso restauro delle Mura negli anni '80 del Novecento

Baluardo della Montagna durante il restauro negli anni '80. Archivio Michele Pastore

Nonostante le azioni di recupero parziale attuate del dopoguerra, le Mura sono state oggetto di un restauro sistematico solo alla fine degli anni '80: finanziata con fondi statali, l'impresa fu un vero Piano Regolatore Monumentale di scala nazionale.

 

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  • Restauro Mura | Anni '80 | 1980 | recupero parziale mura | Piano Regolatore Monumentale

Le prime azioni ti tutela nel dopoguerra

Terminata la guerra e definito il nuovo assetto istituzionale del Paese, nel 1948 il Comune di Ferrara ricevette dallo Stato uno stanziamento di 10 milioni di lire per la riparazione dei danni bellici alla cinta fortificata. Già nel Piano di Ricostruzione del 1947, le autorità municipali sancirono precisi obiettivi di salvaguardia per le antiche mura, tra cui la “integrale conservazione ed anzi la valorizzazione come luoghi di passeggio e riposo e la loro protezione con un'ampia zona di rispetto”. Le operazioni di recupero attuate tra il '47 e '67 si incrociano però con le esigenze di incremento demografico, industriale e di espansione edilizia che contraddistinguono le trasformazioni urbane dei centri dell'Italia settentrionale nel dopoguerra; dunque anche il circuito murario ferrarese subì demolizioni programmate, mirate all'apertura di nuovi varchi (via Azzo Novello), ad allargare quelli già esistenti (Porta Romana, via Kennedy) e a specifiche manomissioni di interi tratti, specie lungo la cortina ottocentesca che univa le bombardate barriere di Porta Po-Viale Cavour al baluardo di San Paolo: in quest'ultimo caso, furono eliminate del tutto le barriere, interrato il vallo, assottigliati i terrapieni e ricavate ampie brecce in corrispondenza delle attuali vie Piave, Cassoli e Kennedy.

Nonostante nel Piano Regolatore Generale della città adottato nel 1957 fosse prevista la “conservazione e il restauro delle Mura e dei baluardi”, l'amministrazione civica non disponeva delle forze finanziarie necessarie a sostenere un programma di rinnovamento generale di un complesso architettonico così vasto, che – di fatto – fu soggetto per oltre vent'anni ad operazioni di manutenzione limitata ai tratti meno problematici sul piano della conservazione, mentre quelli più impervi e vetusti continuarono a deteriorarsi.

La mancanza di un disegno organico di tutela non lasciò indifferente il mondo della cultura, che iniziò a mettere in luce i valori storici ed artistici di quella cinta muraria capace di mantenere quasi intatto nei secoli il mirabile equilibrio urbanistico dell'impianto rinascimentale della città: basti ricordare gli studi più specifici di Guido Magnoni, Giulio Righini e Ugo Malagù per conto della Ferrariae Decus, la diffusa presenza delle mura nell'opera di Giorgio Bassani e nella monografia del 1960 di Bruno Zevi, secondo il quale “le mura difendono ancora Ferrara, non dai nemici esterni ma da un'espansione edilizia vorace e pronta a distruggere il piano di Biagio Rossetti”. Nel corso degli anni '60 e '70 cominciano a distinguersi in campo nazionale le iniziative di tutela del patrimonio artistico e naturale avanzate da Italia Nostra, associazione co-fondata a Roma nel 1955 proprio da Giorgio Bassani e da lui presieduta dal 1965 al 1980. Sul piano cittadino, spicca il fervente operato dell'avvocato Paolo Ravenna, consigliere nazionale di Italia Nostra dal 1981 al 2003 e presidente della sezione di Ferrara dal 1978 al 2003. Tra i più convinti promotori della costituzione del Parco del Delta del Po, Ravenna si attivò anche per il recupero architettonico e ambientale del complesso murato, rilevando l'esigenza di assicurare la piena leggibilità dei suoi profili sempre più aggrediti dalla vegetazione devastante, e di indagarne le specificità artistiche ed archeologiche. Si pose così in evidenza come la fascia verde e i profili delle mura potessero rappresentare un elemento complementare ed essenziale per la creazione di un più ampio parco urbano, esteso dalle mura rossettiane settentrionali fino al Po, attraverso gli oltre mille ettari di terreno agricolo quasi intatto in una prospettiva di programmazione del territorio secondo le indicazioni offerte dalle esperienze europee. Al contempo, proprio per recuperare l'immagine della città, Ravenna avviò personalmente tra il 1978 e il 1985 una sistematica campagna di rilievo fotografico del colossale manufatto, grazie alla quale si acquisì materiale per realizzare documenti filmati, pubblicazioni e addirittura una mostra a Ferrara, nel 1983, poi esportata nei quattro anni successivi in Polonia, a Roma, in Belgio, Olanda, Stati Uniti e a Israele, con sorprendenti riscontri sulla stampa nazionale ed internazionale.

Meritorie furono le ricerche archeologiche incoraggiate in quel frangente dal Comune col tramite operativo e scientifico dei Musei Civici di Arte Antica e degli Assessorati ai Lavori Pubblici, all'Urbanistica ed Edilizia: nell'area di sedime del perduto Baluardo di San Rocco, nel 1979 (su proposta di Italia Nostra), e nel tratto rossettiano a nord, tra il 1985 e 1986, su affidamento della Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici grazie ai finanziamenti FRIET (Fondo Regionale di investimenti per le infrastrutture economiche e territoriali).

 

Il Progetto Mura degli anni Ottanta

La rinnovata attenzione ferrarese per la tutela dei beni culturali prese slancio anche grazie alle possibilità di concretizzazione garantite dai finanziamenti speciali FIO (Fondi Investimenti Occupazione) che in quegli anni venivano messi a disposizione dallo Stato tramite il C.I.P.E (Comitato interministeriale per la programmazione economica) per la tutela dei beni artistici, nel quadro di una rinnovata politica degli investimenti culturali. Nel 1985 venne quindi insediata la “Commissione per la definizione di un programma generale di intervento per le Mura e il Parco Urbano”, mentre per la redazione del Progetto Generale – sotto la direzione del prof. arch. Romeo Ballardini – venne costituita una Segreteria Tecnica, articolata in un Gruppo Operativo di Progettazione (architetti Romano Carrieri e Michele Pastore) e in Linee di Ricerca rivolte alle indagini previste dai modelli di analisi. Dopo la presentazione da parte del Comune (congiuntamente alla Regione Emilia Romagna) del progetto generale al Ministero per i Beni Culturali, nel 1988 il FIO concesse per la realizzazione un finanziamento complessivo pari a 54,5 miliardi di lire, tra i più rilevanti a livello nazionale. Approntati i progetti esecutivi da appaltare, i cantieri vennero aperti tra il 1988 e il 1989: il decennale recupero ha rappresentato un modello di restauro su scala nazionale, capace di riportare alla luce 263 postazioni per artiglieri e fucilieri, perdute fondamenta di torrioni e altri manufatti lungo i 9200 metri di una tra le più articolate architetture militari d'Italia.

Per la dimensione, la durata attuativa, la contemporaneità delle azioni e per la strategia di coordinamento unitario applicata per stralci, gli interventi sulle Mura hanno rappresentato un'esperienza di restauro a grande scala che configura il progetto come un vero e proprio Piano Regolatore Monumentale.

Ferrara ha quindi potuto conservare la propria identità urbanistica di città del Rinascimento che le ha consentito di essere inserita dall'Unesco, nel 1995, nella Lista dei Siti Patrimonio dell'Umanità.

 

Bibliografia

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Ente Responsabile

  • Assessorato alla Cultura e al Turismo, Comune di Ferrara