La lunga notte del '43
Regia: Florestano Vancini
Interpreti: Belinda Lee, Gabriele Ferzetti, Gino Cervi, Enrico Maria Salerno
Sceneggiatura: Ennio De Concini, Pier Paolo Pasolini, Florestano Vancini
Fotografia: Carlo Di Palma
Montaggio: Nino Baragli
Musica: Carlo Rustichelli
Produzione: Antonio Cervi, Carlo Jacovini per Euro International Films
Durata: 106’
Premio Opera Prima alla 21° Mostra Internazionale d’Arte cinematografica di Venezia, La lunga notte del ’43 è liberamente ispirato a un racconto di Giorgio Bassani e colpisce ancora per la capacità di gettare uno sguardo non allineato sugli italiani. Un’opera viva, più che mai.
Location
Castello Estense e vie del centro storico (ricostruite in studio)
Corso dei Martiri della Libertà (angolo 4S)
Via Savonarola
«Prodotto quando oramai anche gli ultimi residui di afflato neorealista iniziavano a svanire dal proscenio nazionale, La lunga notte del ’43 segna un punto di passaggio e di snodo di primaria importanza: senza lasciarsi lusingare dalle moine del boom economico, che pure svolgerà un ruolo fondamentale nella storia del cinema italiano (in particolar modo grazie all’acre retrogusto beffardo e disilluso della commedia), Vancini evita anche qualsiasi apparentamento con il neorealismo, che apparirebbe oramai goffo, fuori tempo massimo, del tutto squilibrato: il suo esordio si inserisce invece in un percorso di rilettura della storia recente, tra analisi del ventennio fascista e ricordo delle tragedie della Seconda Guerra Mondiale, che troverà nel corso degli anni Sessanta e Settanta molti cantori, sia tra i nomi noti (il già citato Bassani trasposto da De Sica, il Bernardo Bertolucci di Novecento) che tra quelli considerati “minori” (il misconosciuto Giovinezza, giovinezza di Franco Rossi, tanto per fare un esempio).
[…] La trama de La lunga notte del ’43 si riduce, a conti fatti, a una triangolazione di punti di vista piuttosto netta: la macchina da presa segue e riprende le vite di Pino Barillari, di sua moglie Anna e del da lei amato Franco Villani. La nettezza del triangolo appare chiara fin dalla forza dei singoli personaggi. L’angosciata e ben poco felice Anna da un lato guarda con disprezzo Pino, fisicamente impotente – è infermo a causa di un’infezione venerea – e inabile a svolgere il ruolo che la società gli ha imposto, dall’altro cerca di trovare effimero conforto nel ben più prestante Franco, a sua volta reso però inabile dalla società, in quanto antifascista.
Nello scontro tra impotenza fisica e impotenza sociale si risolve uno dei punti fondativi de La lunga notte del ’43, nonché uno dei tratti peculiari dell’intera poetica di Vancini: l’uomo è vittima della società e ancor prima della natura, e non può trovar sollievo, né risoluzione alla propria mediocrità. Per questo ad Anna, appurata la meschinità di Franco e incapace di comprendere un marito che ha sempre visto solo come un fratello (come informa lei stessa lo spettatore), non resta altra via se non la sparizione, l’oblio, l’eterna dimenticanza. Dimenticanza che è anche il rimosso volontario di una nazione a sua volta incapace di uscire indenne da una guerra che prima ancora che contro l’invasore è stata contro se stessa, la propria natura, la propria indole di accettazione del sopruso. La lunga notte del ’43 è uno dei primi film a cogliere l’essenza della guerra di liberazione: non solo e non soprattutto un atto di resistenza contro le forze tedesche che avevano occupato il territorio dopo l’armistizio firmato da Pietro Badoglio in fuga verso Brindisi, ma piuttosto la resa dei conti (come tale inevitabilmente sommaria) di una parte della popolazione nei confronti dell’altra.
[…] La lunga notte del ’43, con la sua Ferrara tetra e immersa nella nebbia, che preferisce lo scomparire al mostrarsi – e anche la scelta di ricostruirla in studio a Roma contribuisce alla riuscita di un’atmosfera che si sposta dal dramma a fosche tinte al noir d’oltreoceano e d’oltralpe – è una pugnalata al cuore di un’Italia che già pregustava i fasti del capitalismo e ben poca voglia aveva di sporcarsi le mani con la fanghiglia dalla quale si era (ri)generata nella definizione democratica e repubblicana. Nel gesto di Franco che, lontano da quegli eventi luttuosi, preferisce negare a se stesso la realtà dei fatti stringendo la mano all’aguzzino fascista che uccise suo padre (insieme agli altri antifascisti della città), Vancini racchiude quindici anni di storia di un paese che si vuole emancipato ma non ha saputo fare i conti con se stesso, e con la propria intimità. Inabile e impotente, come i tre protagonisti di questa triste vicenda». (Raffaele Meale)
Collaboratori&cast
Nel cast figurano attori famosi soprattutto negli anni Sessanta, quali Gabriele Ferzetti, Enrico Maria Salerno e Gino Cervi, il Don Peppone della serie Don Camillo di Julien Duvivier e con Fernandel. La pellicola vede coinvolti nella sua realizzazione Pier Paolo Pasolini, in qualità di sceneggiatore, e Carlo di Palma, celebre direttore della fotografia.
Gabriele Ferzetti (1925-2015) è un attore che proviene dal teatro, dove interpreta opere di autori contemporanei come Pirandello e Tenbessee Williams, e che approda al cinema ricoprendo ruoli maschili delineati da un carattere ambiguo e insicuro, si vedano, per esempio, La provinciale (1953) di Mario Soldati, accanto alla Lollobrigida, Le amiche e L’avventura di Antonioni (vedi Dossier Antonioni). Tra le sue interpretazioni si segnalano C’era una volta il West di Sergio Leone (1968), con Claudia Cardinale, Henry Fonda e Charles Bronson; quella del boss della malavita, nella serie di James Bond: Agente 007, Al servizio segreto di Sua Maestà (1969), a fianco a George Lazenby; Il portiere di notte di Lilliana Cavani (1974), interpretato da Charlotte Rampling e Dirk Borgage. Ferzetti è stato un attore prolifico e ha lavorato sia per il cinema che per la televisione.
Enrico Maria Salerno (1926-1994) esordisce molto giovane nel teatro, entrando verso la fine degli anni Quaranta a far parte della Compagnia di Laura Adani e Sergio Tofano e nel 1950 Giorgio Strehler lo scrittura per La morte di Danton. A teatro porta in scena con successo opere di Shakespeare, Ĉechov, Dostoevskji, Giradoux, ma anche di Pirandello e dell’Alfieri. Nel cinema lavora con diversi autori, ricoprendo ruoli minori, e prende parte a La lunga notte del ’43, Le stagioni del nostro amore e La violenza: quinto potere di Vancini. Ricopre ruoli di contorno, ma con grande maestria, in opere celebri del nostro cinema come Io la conoscevo bene di Pietrangeli (vedi scheda tema | La visita), L’armata Brancaleone di Monicelli (1966), Nell’anno del Signore di Magni (1969), L’uccello dalle piume di cristallo di Argento (1970). Negli anni Settanta gira Anonimo Veneziano (1970), Cari Genitori (1973) e Eutanasia di un amore, interpretato da Ornella Muti, Tony Musante e Monica Guerritore. Salerno è stato anche un celebre doppiatore e ha prestato la sua voce ad attori stranieri e italiani come Clint Eastwood nella “trilogia del dollaro” di Segio Leone (-1964-1966), Laurence Olivier, Peter Sellers, Vittorio Gassman e Franco Nero.
Gino Cervi (1901-1974), pseudonimo di Luigi Cervi, è stato uno degli attori più eclettici e rappresentativi del cinema italiano e ha lavorato sia in teatro e in radio che in televisione. Sul grande schermo diventa noto grazie alle sue interpretazioni nelle pellicole di Blasetti Ettore Fieramosca (1938), Un’avventura di Salvador Rosa (1939), La corona di Ferro (1941) e Quattro passi fra le nuvole (1942), film considerato tra i precursori della poetica neorealista. La fama arriva però con l’interpretazione di Peppone nella serie Don Camillo, accanto a Fernandel, tratta dai racconti Giovanni Guareschi (1946-1947) e diretta da Julien Duvivier che realizza in tutto cinque film (1952-1970), di cui l’ultimo episodio è rimasto incompiuto, a causa della morte di Fernandel. Per la televisione, Cervi ha indossato i panni del celebre ispettore Maigret (1964-1972) creato dallo scrittore belga Simenon che ha elogiato l’impeccabile interpretazione dell’attore bolognese. In ambito pubblicitario, invece, è apparso in Carosello (1957-1977) per la famosa marca di brandy Vecchia Romagna.
Il direttore della fotografia Carlo di Palma inizia la sua carriera, in qualità di operatore, sul set di Ossessione di Visconti, per poi lavorare, dopo una lunga gavetta, come direttore della fotografia accanto a prestigiosi registi italiani, quali Pontecorvo, Germi, Montaldo, Petri e Vancini; ma è soprattutto grazie alle due collaborazioni con Antonioni, Il deserto rosso e Blow-up (vedi Dossier Antonioni), che egli raggiunge l’apice nelle sue sperimentazioni sul colore. Carlo di Palma lavorerà ancora con Antonioni in Identificazione di una donna e l’anno successivo, nel 1983, incontrerà Woody Allen durante un viaggio negli Stati Uniti, occasione che gli permetterà di instaurare con il regista americano una proficua collaborazione.
L'influenza di Pasolini
«Pier Paolo Pasolini nasce il 5 marzo del 1922 a Bologna. Primogenito di Carlo Alberto Pasolini, tenente di fanteria, e di Susanna Colussi, maestra elementare. Il padre sposa Susanna nel dicembre del 1921 a Casarsa, dopodiché gli sposi si trasferiscono a Bologna. Ottiene il passaggio dalle elementari al ginnasio che frequenta a Conegliano. Negli anni del liceo dà vita, insieme a Luciano Serra, Franco Farolfi, Ermes Parini e Fabio Mauri, ad un gruppo letterario per la discussione di poesie. Conclude gli studi liceali e, a soli 17 anni si iscrive all'Università di Bologna, facoltà di lettere. Collabora a "Il Setaccio", il periodico del GIL bolognese e in questo periodo scrive poesie in friulano e in italiano, che saranno raccolte in un primo volume, intitolato Poesie a Casarsa. […]
Pasolini e la politica. Nel 1945 Pasolini si laurea discutendo una tesi intitolata Antologia della lirica pascoliniana (introduzione e commenti) e si stabilisce definitivamente in Friuli. Qui trova lavoro come insegnante in una scuola media di Valvassone, in provincia di Udine. […] In questi anni comincia la sua militanza politica. Nel 1947 si avvicina al PCI, cominciando la collaborazione al settimanale del partito Lotta e lavoro. Diventa segretario della sezione di San Giovanni di Casarsa, ma non viene visto di buon occhio nel partito e, soprattutto, dagli intellettuali comunisti friulani. Le ragioni del contrasto sono linguistiche. Gli intellettuali "organici" scrivono servendosi della lingua del novecento, mentre Pasolini scrive con la lingua del popolo senza fra l'altro cimentarsi per forza in soggetti politici. Agli occhi di molti tutto ciò risulta inammisibile: molti comunisti vedono in lui un sospetto disinteresse per il realismo socialista, un certo cosmopolitismo, e un'eccessiva attenzione per la cultura borghese. […]
Pasolini e il cinema. La passione per il cinema impegna molto l’attività artistica di Pasolini. Nel 1957, insieme a Sergio Citti, collabora al film di Fellini, Le notti di Cabiria, stendendone i dialoghi nella parlata romana, poi firma sceneggiature con Bolognini, Rosi, Vancini e Lizzani, col quale esordisce come attore nel film Il gobbo del 1960. Nel 1961 realizza il suo primo film da regista e soggettista, Accattone. Il film viene vietato ai minori di anni diciotto e suscita non poche polemiche alla XXII mostra del cinema di Venezia. Nel 1962 dirige Mamma Roma. Nel 1963 l'episodio La ricotta (inserito nel film a più mani RoGoPaG), viene sequestrato e Pasolini e' imputato per reato di vilipendio alla religione dello Stato. Nel 1964 dirige Il vangelo secondo Matteo; nel 1965 Uccellacci e Uccellini; nel 1967 Edipo re; nel 1968 Teorema; nel 1969 Porcile; nel 1970 Medea; tra il 1970 e il 1974 realizza la “triologia della vita”: Il Decameron, I racconti di Canterbury e Il fiore delle mille e una notte; per concludere col suo ultimo Salo' o le 120 giornate di Sodoma nel 1975. […] Il cinema lo porta a intraprendere numerosi viaggi all'estero: nel 1961 e', con Elsa Morante e Moravia, in India; nel 1962 in Sudan e Kenia; nel 1963 in Ghana, Nigeria, Guinea, Israele e Giordania (da cui trarrà un documentario dal titolo Sopralluoghi in Palestina). In merito alla sua produzione artistica, nel 1968 Pasolini ritira dalla competizione del Premio Strega il suo romanzo Teorema e accetta di partecipare alla XXIX mostra del cinema di Venezia solo dopo che, come gli viene garantito, non ci saranno votazioni e premiazioni. Pasolini è tra i maggiori sostenitori dell'Associazione Autori Cinematografici che si batte per ottenere l'autogestione della mostra. Il 4 settembre il film Teorema viene proiettato per la critica in un clima arroventato. L'autore interviene alla proiezione del film per ribadire che la pellicola è presente alla Mostra solo per volontà del produttore ma, in quanto autore, prega i critici di abbandonare la sala, richiesta che non viene minimamente rispettata. La conseguenza è che Pasolini si rifiuta di partecipare alla tradizionale conferenza stampa, invitando i giornalisti nel giardino di un albergo per parlare non del film, ma della situazione della Biennale».
Bibliografia
- Raffaele Meale, La lunga notte del '43, in «Quinlan», 10 marzo 2016
- Alberto Achilli, Gianfranco Casadio, Le stagioni di una vita. Il cinema di Florestano Vancini, Girasole, Ravenna 2002
- Giacomo Gambetti, Florestano Vancini, Gremese, Roma 2002
- Giacomo Martini (a cura di), Florestano Vancini, Cinecittà Holding, Regione Emilia-Romagna 2003
- Giulia Tellini, Vita e arte di Gino Cervi, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2013
- Massimo Giraldi, Gabriele Ferzetti, Tabula Fati, Chieti 2016
- Alessandro Ticozzi, Le stagioni del nostro impegno: Enrico Maria Salerno attore e regista cinematografico, Sensoinverso, Ravenna 2017
Sitografia
- https://quinlan.it/2016/03/10/la-lunga-notte-del-43/
Fototeca
Luoghi correlati
Ente Responsabile
- Assessorato alla Cultura e al Turismo, Comune di Ferrara
Autore
- Doris Cardinali
- Matteo Bianchi