Fascismo
Fino al 1938 fra il fascismo ferrarese e la Comunità ebraica c’è un rapporto sostanzialmente di convivenza: l’atteggiamento degli ebrei rispecchia, infatti, i comportamenti e le scelte politiche del resto della popolazione fra adesione più o meno superficiale e minoranza antifascista.
1. L'ascesa e l'affermazione del fascismo
Negli anni di ascesa e di affermazione del regime fascista in Italia e a Ferrara l’atteggiamento della Comunità ebraica deve essere considerato nel contesto di quel blocco sociale di cui fa parte la maggioranza dei suoi componenti. In altre parole la popolazione ebraica agisce in base ai suoi interessi economici, comportandosi come la restante borghesia agraria, industriale, professionale e commerciale della provincia. Nel 1920 fra i 222 iscritti al Fascio di Ferrara si contano solo undici ebrei, fra i quali Enrico Bassani, il padre dello scrittore Giorgio Bassani. Dopo la marcia su Roma salgono a 25 su un totale di 303 aderenti. Se dunque non si può parlare di una vera e propria adesione attiva e unanime, si nota però una partecipazione al finanziamento del nuovo movimento: nell’elenco dei finanziatori del Fascio pubblicato come ringraziamento su “Il Balilla” del 17 marzo 1921 compaiono almeno tredici ebrei ferraresi e, tra i diciassette agrari compresi nella prima lista dei sottoscrittori per il Fascio, ci sono sei ebrei.
2. Gli anni Trenta
Fino a tutti gli anni Trenta del Novecento si possono riscontrare perciò tre diversi approcci: una minoranza che continua a esprimere posizioni fasciste da una parte, dall’altra una componente minoritaria di oppositori, e nel mezzo la maggioranza della comunità che coltiva “la speranza che il regime potesse semplicemente lasciarla in pace” (Provasi 2010, p. 97). Per esemplificare la situazione ferrarese si possono utilizzare le esperienze da una parte di Renzo Ravenna, amico di Italo Balbo e primo e unico podestà di origine ebraica nell’Italia fascista, e dall’altra di Giorgio Bassani, il cui padre aderisce da subito al fascismo, ma che entra a far parte del gruppo antifascista vicino ad Alda Costa diventandone un componente fondamentale. La situazione cambia radicalmente con l’emanazione e l’applicazione delle leggi razziali che per gli ebrei ferraresi rappresentano una sorta di brusco risveglio, fino a degenerare tragicamente dopo l’8 settembre 1943, quando iniziano i rastrellamenti e le deportazioni a opera dei nazisti e delle truppe della Repubblica Sociale.
3. Testimonianza di Renzo Bonfiglioli
“…nessun dubbio che a Ferrara qualche latifondista ebreo si sia coperto di grosse responsabilità, assieme agli altri, nella fase iniziale, e debba pertanto essere collocato fra i mandanti, i finanziatori, fra coloro che dietro le quinte mettevano le ali allo squadrismo e preparavano alla chetichella la complicità dello Stato. Nessun dubbio altresì che, superato il timore di compromettersi, qualcuno si sia agganciato: con tanta maggiore sollecitudine quando vi era lo stimolo di ambizioni personali di fronte alla pioggia delle ‘soddisfazioni morali’. Ciò vale in particolare per professionisti già in passato curiosi o zelanti, in possesso od in attesa di cariche pubbliche. [Tuttavia] analizzando con un elenco degli agricoltori e professionisti ebrei di quegli anni, il numero apparirebbe inferiore alle dita di una mano, od appena superiore se vogliamo agganciare al gruppo qualche isolato caso di squadristi”.
Renzo Bonfiglioli, Gli ebrei a Ferrara dal fascismo alla liberazione, in Garutti 1987, pp. 132-133
Bibliografia
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Ente Responsabile
- Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara
Autore
- Federica Pezzoli