Isola e palazzo di Belvedere (perduti)
Parte orientale dell'isola di Belvedere, con palazzo, stampa ottocentesca (Ferrara, Biblioteca Comunale Ariostea, H.5.1, n. 43 ©)
Unica isola fluviale a ridosso di Ferrara, Belvedere fu in realtà uno dei luoghi ameni più originali dell'intera Italia rinascimentale: fu Alfonso I d'Este a trasformare una striscia di terra in un paradiso principesco, tra Arte, Natura e piaceri sensoriali.
Cenni storici e caratteristiche architettoniche
Situato lungo l'antico corso del Po, a poca distanza dal vertice sudoccidentale delle mura cittadine, l'antico sedime dell'isola occupava il vastissimo spazio oggigiorno compreso tra le vie San Giacomo, Darsena, Mulinetto, Saragat, Arginone e Maverna, dominato dalla presenza dei raccordi ferroviari della limitrofa Stazione. La salubrità dell'aria, l'abbondanza di acqua, la presenza di estesi spazi vergini boschivi rappresentarono i principali motivi che spinsero Alfonso I d'Este (duca dal 1505 al 1534) a rendere quella striscia di terra emersa un esclusivo luogo residenziale, il cosiddetto Belvedere, con strutture ad uso privato adattabili in certe occasioni a funzioni di primo ricevimento per gli ospiti illustri.
Il cantiere architettonico prese avvio nel 1513 e in meno di un decennio sorsero nuovi giardini geometrizzati, fontane, bagni, giochi idraulici, serragli per animali esotici e, soprattutto, il complesso sistema di edifici sull'estremità orientale, incentrato su un palazzo a pianta longitudinale con torri quadrangolari, ampia corte aperta su loggiati e diversi ambienti decorati internamente ed esternamente. Esaltata dai principali letterati ferraresi del primo Cinquecento (persino Ariosto la ricorda nella terza edizione del Furioso), l'isola di Belvedere fu per tutto il secolo un autentico palcoscenico del potere estense e degli allestimenti teatrali più importanti, tra cui l'Aminta del Tasso (1573). Una delle prime attestazioni sul Boschetto “in megio al Po” è rappresentata dalla lettera inviata nel novembre 1513 dall'architetto Biagio Rossetti al cardinale Ippolito d'Este, nella quale si fanno riferimenti a lavori di spianamento della terra, di sradicamento della vegetazione infestante e delle successive piantumazioni di migliaia di alberi di rovere e pioppo, le cui fronde ombrifere avrebbero rinfrescato in più punti le terrazze aperte per i banchetti estivi.
Lunga circa un chilometro e dalla curiosa forma a mandorla, l'isola aveva un'estensione di circa 24 ettari: dalla stima del perito Benmambri risalente al 1598 sappiamo che la punta orientale contenente le strutture residenziali era delimitata da una cortina muraria scarpata e merlata, alta più di 6 metri e impreziosita con una fascia basale di marmo, laddove cancellate di ferro fissate a pilastri intercalati contornavano il resto della terra emersa: tutta la parte superiore della recinzione presentava un apparato decorativo compiuto nel corso del 1516 con farfalle segnavento in bronzo dorato appoggiate su palle fiammeggiati, ossia le “granate svampanti”, divise araldiche di Alfonso I d'Este. Tra gli elementi che più suscitavano lo stupore dei visitatori, vanno annoverate le due monumentali fontane, una in bronzo a forma di tronco d'albero ramificato e innestato al centro di una capiente vasca in marmo di Carrara (situata nel prato antistante il prospetto principale del palazzo), l'altra in pietra istriana in guisa di “sasso grande” ovvero di piccola montagna incastonata nel recesso alberato della parte posteriore: autori dei due manufatti (realizzati tra il 1517 e il 1519) furono Giovanni Andrea Gilardoni, il compagno Gregorio e Alfonso Lombardi, quest'ultimo tra i più noti scultori e bronzisti emiliani. Oltre alle fontane, l'ingegnoso duca fece realizzare altre strutture dotate di meccanismi idraulici, tra cui tubature sotterranee sprigionanti improvvisi giochi d'acqua, un ampio invaso circolare (costruito tra il 1519 e il 1523) sovrastato da un ponte ligneo fintamente immobile, dotato di un dispositivo che – se azionato improvvisamente in talune circostanze – provocava il divertito ammollo del basito passante, e le “stanze da bagno” congiunte posteriormente alla dimora, formate da ambienti non molto grandi con vasche gradonate e volte a botte per un miglior mantenimento dell'umidità e del calore fornito da caldaie in rame.
Terra del piacere sensoriale e del benessere fisico recuperato dopo le fatiche politiche del governo, Belvedere fu davvero il teatro della magnificenza di Alfonso d'Este, tra i più abili mecenati del Rinascimento europeo. Secondo l'umanista Scipione Balbo, il visitatore appena sbarcato sull'isola poteva contemplare il fronte del palazzo decorato con figurazioni dipinte, mentre nell'area retrostante correva un muro affrescato con ritratti di animali, probabilmente gli stessi che popolavano il serraglio della parte occidentale, all'interno del quale nel 1540 risultavano censiti oltre 200 animali di varia specie (struzzi, daini, cervi, caprioli, gatti soriani, istrici e pavoni indiani). Le decorazioni interne dei camini nelle stanze del bagno e quelle esterne dei merli e delle facciate con paesaggi vanno ricondotte alle quattro mani di Tommaso da Carpi e Albertino Grifo, assiduamente presenti nel cantiere dal marzo 1514 fino alla primavera del ʼ19, quando Dosso Dossi subentra con preponderanza nelle operazioni di abbellimento interno della cappella privata; l'intera dimora fu oggetto di aggiornamenti pittorici anche nel corso dei decenni successivi, specie negli anni Ottanta e Novanta, quando sono documentati gli interventi dei maggiori artisti attivi alla corte di Alfonso II, in primis Ludovico Settevecchi, Bartolomeo Faccini e Leonardo da Brescia.
Le cronache di fine Cinquecento documentano impietosamente la fatale sorte dell'isola già negli istanti successivi la fuoriuscita degli Estensi da Ferrara (1598), allorquando gli stessi emissari ducali asportarono i quadri, le finiture marmoree, le tappezzerie e altre suppellettili preziose conservate nel palazzo. Poco a poco tutte le strutture edificate furono depredate dalle soldatesche pontificie, al pari dei giardini, delle alberature e degli animali nei serragli: pietre, marmi, colonne e addirittura una scala a chiocciola provenienti dallo smantellato Belvedere estense furono poi impiegati per ultimare la costruzione del convento della chiesa di Santo Spirito, nell'attuale Via Montebello.
Il sipario della storia su questo luogo edenico calò non molto tempo dopo la Devoluzione di Ferrara alla Santa Sede: tra il 1608 e il 1618 l'isola – e con essa una vasta porzione del circostante edificato urbano e suburbano – fu completamente spianata per far posto alla nuova fortezza pontificia (demolita tra il 1859 e il 1865).
Bibliografia
- Bruno Zevi, Biagio Rossetti architetto ferrarese. Il primo urbanista moderno europeo, Einaudi, Torino 1960
- Gianni Venturi, Un’isola tra utopia e realtà, in Andrea Buzzoni (a cura di), Torquato Tasso tra letteratura, musica, teatro e arti figurative, Bologna 1985 , pp. 172-178
- Francesco Scafuri, Le mura di Ferrara. Un itinerario attorno alla città, tra storia ed architettura militare, in Maria Rosaria Di Fabio (a cura di), Le mura di Ferrara. Storia di un restauro, Minerva, Bologna 2003
- Francesco Ceccarelli, Forme degli insediamenti estensi nel Ferrarese tra Quattrocento e Cinquecento, in Marco Borella, Cinisello Balsamo (a cura di), Il Castello per la città, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2004 , pp. 73-83
- Andrea Marchesi, Oltre il mito letterario, una mirabolante fabbrica estense. Protagonisti e significati nel cantiere di Belvedere (e dintorni), in Gianni Venturi (a cura di), L'uno e l'altro Ariosto: in corte e nelle delizie, Olschki, Firenze 2011 , pp. 175-214
- Andrea Marchesi, Delizie d'archivio, I, Le Immagini, Ferrara 2015 , pp. 34-145
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Ente Responsabile
- Assessorato alla Cultura e al Turismo, Comune di Ferrara