Scheda: Luogo - Tipo: Monumenti, lapidi e fontane

Baluardo della Montagna

Baluardo della Montagna visto dal sottomura

Edificato a forma di freccia tra il 1518 e il 1520, il Baluardo della Montagna fin da subito rappresentò un autentico e formidabile modello di architettura militare, tanto da essere studiato da ingegneri, tecnici e principi condottieri.


Lat: 44.82540774544249 Long: 11.634291069479445

Costruzione: 1518 - 1520

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  • mura

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  • Baluardo della Montagna | architettura militare

Un po' di storia

Alla morte di Ercole I d'Este (25 gennaio 1505), il circuito murario rossettiano risultava pressoché terminato dalla Porta di San Benedetto fino ad arrivare al “Canton del Follo”, poco sotto lo sbocco dell'attuale Via Giovecca. Rimaneva invece inalterato nella sua struttura medievale a difesa piombante il circuito sudorientale, tra il Canton del Follo e la Porta di San Giorgio. Fu proprio in quest'ultimo settore, più vulnerabile, che il nuovo duca Alfonso I d'Este concentrò gli sforzi per un più adeguato piano di protezione della città, oltretutto in previsione  della riaccensione dello scontro militare con la Repubblica di Venezia, di lì a venire: aderendo nel 1508 alla lega antiveneziana di Cambrai, il sovrano estense trascinò infatti Ferrara in una guerra destinata a protrarsi, tra vari ribaltamenti di fronte, fino al febbraio del 1513. Tra i primi provvedimenti, spicca la scelta di far piantare nel corso del 1508 alberi di pioppo su tutti i terrapieni e di fare erigere, nello stesso anno, due montagne di terra a ridosso del perimetro murario, in funzione di mastodontiche torri di avvistamento su cui collocare potenti bocche da fuoco: una a sud-ovest di guardia al fiume verso l'isola di Belvedere, l'altra a sud-est, nelle adiacenze della Porta di Sotto affacciata su quel Borgo della Pioppa che il duca – a partire dall'estate del 1510 – decise di spianare a causa dell'evidente fragilità difensiva, oltretutto acuita dalla presenza di significativi complessi chiesastici facilmente utilizzabili come postazioni d'attacco dai nemici incursori. L'atterramento, o “guasto”, di centinaia di case sparse nell'area corrispondente all'attuale abitato di Quacchio, fu un evento impattante come si percepisce dai riscontri riportati dai cronisti; scrive, infatti, Zerbinati:

Luni 4 novembre [1510] il duca fece dar principio a gettar giù e rovinare la porta di Sotto, cioè li ponti che erano tre ma belli, et la tore la quale era una bella fortezza at adì 8 detto la fece rovinare nella fossa di detta tore in questo modo: la tagliorno di sotto e la puntelorno con legni e poi vi posero delle fasine et li dettero foco, et in poc'hora rovinò nella fossa dentro della terra; e rovinò para, et non fece male alcuno, né strepito et sfassorno le mure vecchie della terra, dal bastione della detta Porta di Sotto sino alla fossa della Zoeccha, et così le mure nove che fece fare il duca Borso dal detto bastione sino al barbacano, le quali fece sbassare sino al cordone di essa mura; e dentro a dette mura ordinò di fare rio fosso, con lo riparo verso la terra e con le bombardiere dentro delle mura nel bastione del barbacane, et questo perchè aspettiamo il campo del papa e quello de Venetiani alla terra d'hora in hora.

Il “guasto” del borgo fu in realtà un'operazione militare molto complessa (come dimostra la sua durata ultradecennale), soggetta a continue interruzioni e prolungati arresti, necessitante della presenza quotidiana di centinaia di lavoratori, tra cui anche “gentilhomini”, “corteggiani”, “frati”, studenti, “giudei” e persino “putane”: il duca pretendeva che nessuno si esimesse dal fornire il proprio contributo alla sicurezza della città.

Oltre alla manovalanza, vennero coinvolte specifiche figure con ruoli direttivi e tecnici (specie per lo scavo, il prosciugamento delle fosse e la movimentazione di milioni di pietre), tra cui non compare il nome di Biagio Rossetti, nonostante detenesse ancora in quel frangente la carica di “inzignero” ducale: un chiaro segno del differente atteggiamento progettuale subentrato con l'ascesa al potere di Alfonso d'Este, autentico principe guerriero, nonché munifico patrono dei più grandi artisti del Rinascimento italiano, su tutti Raffaello, Tiziano e Michelangelo. Sfumata la possibilità di coinvolgere Donato Bramante nella progettazione di una nuova fortezza urbana verso il Borgo della Pioppa, il duca affidò quindi la riorganizzazione degli assetti difensivi a Sebastiano Bonmartini da Monselice, alias Barbazza, valente uomo di guerra celebrato anche da Paolo Giovio. Fu lui a disegnare nel 1518 il baluardo detto “della Montagna”, a sud-est, citato nelle fonti col termine “fabbrica” o “fortezza in foggia di triangulo”: la “più superba del mondo” come la definì Ferrante Gonzaga nel 1520, a riprova dell'originalità architettonica dettata dalle nuove tecniche d'assedio, affidate non più a torrioni semicircolari raccordati da cortine verticali, ma a possenti bastioni murati triangolari alti 8-10 metri, con superfici scarpate dotate di cannoniere nella parte sommitale.

A presidio del Baluardo della Montagna, in funzione di tenaglia, furono costruiti, tra il 1521 e il 1524, a nord il Baluardo di San Tommaso e a sud il Barbacane di San Giorgio, parzialmente demolito alla fine del XIX secolo.

Osservando il baluardo dal sottomura, si possono ancora notare le postazioni superiori per le bocche da fuoco (parzialmente tamponate), mentre nella parte terminale dello sperone maggiore campeggia un angolare marmoreo con inciso il nome del cardinale Giovanni Battista Pallotta, Legato di Ferrara dal 1631 al 1634.

Un duro colpo all'integrità del vallo fu inferto proprio qui, allorquando si permise intorno al 1910-1914 il sorgere degli edifici residenziali che occultano, per chi sta sulla circonvallazione di Quacchio, la parte più caratteristica dei baluardi di San Giorgio e del Montagnone.

Sulla superficie spianata del baluardo, spiccano gli immobili un tempo occupati dalle officine AMGA (1929); il “Progetto Mura” degli anni '80-'90 del secolo scorso prevedeva il loro abbattimento, poi rivalutato dai successivi Piani Regolatori tanto che dal 2013 alcune delle strutture ospitano il Teatro Off, spazio sempre più di riferimento per la città, facente capo all’associazione Ferrara Off che offre spettacoli, rassegne, corsi, laboratori e occasioni di incontro a di difesa della cultura.

 

 

Nella letteratura

Tra realtà e trasfigurazione, una particolare veduta del Montagnone è offerta da Giorgio Bassani, la cui casa di famiglia sorge poco lontano, in via Cisterna del Follo 1, nel romanzo Il giardino dei Finzi Contini.

 

Testimonianze

In letteratura:

«Fin da bambino ho sempre sofferto di vertigini […]. Da bambino, quando la mamma, con Ernesto in braccio (Fanny non era ancora nata), mi conduceva sul Montagnone, e lei si sedeva nell’erba del vasto piazzale di fronte a via Scandiana dall’alto del quale si poteva scorgere il tetto di casa nostra appena distinguibile nel mare di tetti attorno alla gran mole della chiesa di Santa Maria in Vado, non era senza molto timore, ricordo, che andavo a sporgermi dal parapetto delimitante il piazzale dalla parte della campagna, e guardavo giù, nel baratro profondo trenta metri. Lungo la parete strapiombante stava quasi sempre salendo o scendendo qualcuno: contadini, manovali, giovani muratori, ognuno con la bicicletta a tracolla; e vecchi, anche, baffuti pescatori di rane e pesci-gatto, carichi di canne e di ceste: tutta gente di Quacchio, di Ponte della Gradella, di Coccomaro, di Coccomarino, di Focomorto, che avevano fretta, e piuttosto che passare da Porta San Giorgio o da Porta San Giovanni (perché da quel lato i bastioni erano intatti, a quell’epoca, senza brecce praticabili per una lunghezza di almeno cinque chilometri), preferivano prendere, come dicevano, «la strada della Mura». Uscivano di città: in questo caso, attraversavano il piazzale, mi passavano accanto senza guardarmi, scavalcando il parapetto e lasciandosi calar giù fino a poggiare con la punta del piede sulla prima sporgenza o rientranza della muraglia decrepita per poi raggiungere in pochi momenti il prato sottostante. Arrivavano dalla campagna: e allora venivano su con certi occhi sbarrati che a me sembravano fissi nei miei, affioranti timidamente dall’orlo del parapetto, ma invece mi sbagliavo, si capisce, non erano attenti che a scegliere l’appiglio migliore. Sempre, ad ogni modo, durante tutto il tempo che stavano così, sospesi sopra l’abisso – a coppie, in genere, uno dietro l’altro -, li udivo chiacchierare tranquillamente in dialetto, né più né meno che se si fossero trovati a camminare lungo un viottolo in mezzo ai campi. Come erano calmi, forti, e coraggiosi! – mi dicevo –. […] Io non sarei mai stato capace di fare altrettanto – mi ripetevo ogni volta, guardandoli allontanarsi […] –. Mai e poi mai.»

(G. Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, in Opere, Il romanzo di Ferrara, Mondadori 2001, p. 357s.)

 

Sull’accesso al Montagnone e ai suoi giardini:

«La Prospettiva della Ghiara, all’incrocio fra Via Formignana e Via XX settembre (quella che da ora in poi chiameremo sempre Via della Ghiara) era la porta che immetteva nei meravigliosi giardini ordinati nella zona della Montagna e che pare proseguissero circondando con 18 Delizie tutta la città, correndo sui rampari delle mura: le descrizioni degli storici di questi luoghi di serenità sono affascinanti anche perché documentano di una città che curava la propria immagine e che sapeva come presentarsi bene al forestiero che la visitava.»

(C. Bassi, Nuova guida di Ferrara. Vista e spazio nell’architettura di una città emblematica, Italo Bovolenta editore 1981, p. 166)

 

Sull’impresa dell’acqua potabile a Ferrara:

«Il primo tubo della condotta di 57 chilometri che portava l’acqua da Castelfranco a Ferrara fu posato il 14 giugno 1887.

Il percorso terminava nella zona del Montagnone, dove era stato edificato un serbatoio interrato della capacità di 1.054 mc di acqua, con due vasche di accumulo e due camere per le valvole di ingresso e di uscita. L’acqua arrivava nelle case mediante condotte in ghisa (di diametro tra i 50 e i 300 mm) in una rete di 17,5 chilometri; dodici fontanelle erano dislocate in città e quattro nei sobborghi, oltre a una fontana circolare (m 6,20 di diametro) nel «pubblico giardino» del Castello. L’ultimo tronco della condotta venne posato il 22 ottobre 1889 e il 4 novembre successivo l’acqua per la prima volta raggiunse quelle abitazioni dove era stato già installato l’impianto. Il collaudo del 31 maggio 1890 fu positivo: nessuna perdita nelle condutture da Castelfranco a Ferrara. Con un grande manifesto la Giunta municipale e il sindaco conte avv. Carlo Giustiniani invitavano la cittadinanza all’inaugurazione, l’8 giugno 1890, del primo serbatoio di raccolta dell’acqua potabile, l’acquedotto del Montagnone, “un’opera grande e benefica”».

(da A. Ghinato, Acqua a Ferrara)

 

Bibliografia

Sitografia

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Ente Responsabile

  • Assessorato alla Cultura e al Turismo, Comune di Ferrara

Autore

  • Barbara Pizzo