Baluardo di San Tommaso e “doccile”
Costruito alla fine del secondo decennio del '500 per proteggere il maggiore Baluardo della Montagna, il Baluardo di San Tommaso mantiene sostanzialmente ancora inalterate le sue forme originarie, a parte le cannoniere superiori, tutte murate.
Piccolo excursus
Prende il nome dalla limitrofa chiesa di San Tommaso (distrutta nel 1836), situata all'interno delle mura all'incrocio delle attuali vie Sant'Andrea e Formignana. Dalla tipica forma “a freccia” e senza orecchioni nei fianchi, il baluardo venne costruito alla fine del secondo decennio del XVI secolo, quando il duca Alfonso I d'Este (1476-1534) decise di potenziare l'apparato difensivo del settore sudorientale della città: dopo aver fatto abbattere il prospiciente sobborgo della Pioppa, l'ingegnere militare Sebastiano Bonmartini da Monselice, alias Barbazza, sovrintese alla costruzione delle nuove muraglie, riutilizzando il materiale edile delle vecchie cortine e dei monasteri situati nel borgo.
Il manufatto doveva proteggere il fianco settentrionale del più grande Baluardo della Montagna: la sua funzione militare è percepibile dalla presenza dell'ampio locale casamattato interno, originariamente utilizzato come deposito di armi e polveri sulfuree (il cui ingresso venne allargato successivamente, oggi serrato da una grata metallica), mentre non sono più visibili le postazioni per le bocche da fuoco nel perimetro murario superiore.
A poca distanza scorre il settecentesco “doccile” o doccione di San Tommaso, costruito in realtà nel 1524 con copertura a volta per far defluire gli scoli delle fognature cittadine nel canale Naviglio di Baura.
19 giugno 1661: fatto truce a San Tommaso
Proprio in questo punto, tra il vallo ricolmo d'acqua e il torrione, accadde nel giugno del 1661 un fatto truce, ampiamente ricordato da Girolamo Baruffaldi tra le pagine della sua Istoria di Ferrara del 1700: trattasi di un uxoricidio ordinato da una donna per mano del suo amante, cui – ad entrambi – il destino non lascerà scampo. Un “caso notabile”, come lo definì Baruffaldi, e “degno per comune essempio da notificarsi a posteri per dare insegnamento a gli huomini che la Giustizia di Dio, se bene tal'ora tarda si mostra nel punire i misfatti, non però mai se li scorda, anzi più fieramente punisce dopo l'aver aspettato”.
Secondo l'autore,
fu questo un assassinio fatto comettere dalla propria moglie in persona di Giacopo Moro suo marito soldato di questo presidio la notte decimanona di giugno per mezzo di Francesco Pezzolla da Catanzaro, pure soldato camerata del sopradetto, e drudo della donna accennata, con farlo accoppare improvvisamente con una manaia mentre insieme cenavano; né contento di ciò il malfattore, per celare in ogni peggior modo l'empia sua sceleratagine, barbaramente con la stessa manaia gli recise dal busto il capo, le braccia e le gambe, e in un sacco chiudendo le smembrate carni quelle gettò nel più vicino nascondiglio, cioè nella fossa che circonda la città presso il Baluardo di S. Tommaso, così restando frammezzo l'acque, e i giunchi del paludoso sito sepolto per non poco tempo il corpo d'un delitto tanto atroce. Perlocché ebbe campo il micidiale di dar addito alle sue amorose compiacenze, senza timore di riprensione, contestando, tanto la moglie del misero, quanto il sanguinario a chiunque del morto chiedeva notizia, ch'egli era fuggito altrove, e ad altri che per diporto aveva ottenuta facoltà di star fuori per qualche mese; ma che ben tosto sarebbe di ritorno. Al contrario quando costoro credevano avere assodata la loro felicità, la Giustizia di Dio, che non dorme, trovò strada di scoprire (con uno strano modo) l'infame eccesso, e romper il filo alle costoro malfondate contentezze.
Conciò sia cosa che dopo il corso di un mese, venne il caso che un pescatore portossi a far pesca nelle fosse della città (cosa che di raro avviene, e che con cautela si concedeva a pochi) e circondandone i luoghi dove pensava far maggior pesca, gionse al Baluardo di San Tommaso, e nell'investigare il sito migliore per il suo esercizio, diede a caso l'occhio nel più folto de' giunchi, e ivi non troppo bene distinse il sacco, dove erano le carni di quel miserabile già detto; e come che l'umana avidità cerca sempre dove saziarsi, pensando ch'ivi fosse celato tutt'altro, che quello che vi era, volse il battello a quella parte, e aprendo con ansietà il sacco, scoperse non senza meraviglia e terrore le carni presso che fracide d'un huomo, e sorpreso dalla infausta novità, stimò bene non far dimora a darne parte al Fisco criminale, il quale ben tosto corse e trovò il corpo del delitto, ma così contrafatto che non più distinguevasi di qual persona fusse il cadavero.
L'incognito personaggio sforzò i Ministri della Giustizia ad esporre quello alla pubblica veduta, accioché non si lasciasse modo alcuno per indagarne la verità, e venire in chiaro del fatto, per lo che sparsasi una tal voce, concorse d'ogni sorta di gente dove stava esposto il quasi putrefatto cadavero per ravvisarlo, né alcun vi fu che o lo distinguesse oppure, che ravvisandolo, lo volesse palesare; solo fu osservato che un soldato (e fu questo l'omicida crudele a tanta baldanza pervenuto) fra la turba infinita, ch'era accorsa, in accostarsi alle recise membra alquanto di colore mutossi in volto, e sforzandosi pure al dispetto della Natura, che n'avea orrore, di perseverare in rimirar quello da esso essaminato corpo, forza dell'antipatia che tra esso e il morto passava, videsi impetuosamente sgorgare il sangue dalle narici al reo presente, e dalla morte, e quasi putrefatte carni dell'esposto uscire, e bollire in larga coppia il come vivo sangue. E se bene pochi notarono questo antipatico effetto, fu però chi ben osservò, e nell'uno e nell'altro questa ultima ragione postuma risserbata da Dio al morto per convincere il reo, e al vivo per restar confuso. Onde non guari andò, che notificato il caso alli Ministri, questi ben tosto ferono cattura del micidiale, che si trovava appunto in casa della donna accennata, e questo costretto in prigione fu sforzato in vigore de' tormenti a deporre la verità, e confessare il barbaro misfatto, in pena del quale pochi giorni dopo pagò la vita con il tormento del taglio della mano destra, delle tenagliate, e della mazza sopra un infame patibolo a pubblica vista.
Era fuggita, resa cauta dall'imminente flagello la donna, per cui cagione successe già l'assassinio, ma poco stete, che pubblicossi la voce per città essere stata ritrovata in un bosco divorata più dalle fiere che dall'interno rammarico. Questo basti che pagò anch'essa, morendo lacerata, il fio dell'enorme sua crudeltà.
Un papa sul Baluardo di San Tommaso
Nel luglio 1857 Ferrara accolse in maniera strepitosa papa Pio IX, proprio quando erano in corso i lavori di bonifica delle fosse che circondavano la città, con la creazione di un canale ai piedi della strada coperta dalla controscarpa secondo gli orientamenti della cosiddetta Bonificazione Piana (in onore del papa) riguardante anche i vasti territori dell'agro ferrarese. Recatosi sul Baluardo di San Tommaso, il papa si accostò al muro di cinta per benedire le centinaia di operai intenti a spianare e assestare la terra redenta: l'ultimo saluto di Ferrara a un Papa re prima dell'Unità d'Italia.
Dall'esterno, mura e vallo si distendono verso nord in un vasto complesso ambientale e paesaggistico, recuperato dopo l'abbattimento di un pioppeto ed altri lavori di bonifica alla fine degli anni '70 del secolo scorso.
Bibliografia
- Girolamo Baruffaldi, Dell 'istoria di Ferrara scritta dal dottore D. Girolamo Baruffaldi Ferrarese libri nove : ne' quali diffusamente si narrano le cose avvenute in essa dall'anno MDCLV fino al MDCC con gli argomenti à ciascun libro, e due tavole, de'nomi proprj, e delle materie, Bernardino Pomatelli, Ferrara 1700 , pp. 76-79 Vai al testo digitalizzato
- Le feste di Ferrara a Sua Santità Pio Nono, Ferrara 1857
- Francesco Scafuri, Le mura di Ferrara. Un itinerario attorno alla città, tra storia ed architettura militare, in Maria Rosaria Di Fabio (a cura di), Le mura di Ferrara. Storia di un restauro, Minerva, Bologna 2003 , p. 52
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Ente Responsabile
- Assessorato alla Cultura e al Turismo, Comune di Ferrara