Scheda: Luogo - Tipo: Vie e Piazze

Via Campofranco

Monastero Corpus Domini, Via Campofranco

Via del centro storico cittadino, che si sviluppa da via Praisolo fino a via Pergolato.

 


VIA CAMPOFRANCO 1

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La via: denominazione e cenni storici

La denominazione si deve alla concessione emessa dal marchese Aldobrandino d’Este nel 1360 di potersi battere a duello a Ferrara, senza essere perseguibili, ben lo ricorda Gerolamo Melchiorri, «come in “campo franco”».

In passato parte di via Praisolo, via Campofranco potrebbe passare inosservata, essendo lunga appena poche decine di metri e apparendo più stretta delle strade vicine. Percorrendola, tuttavia, si può scoprire la chiesa delle clarisse del Corpus Domini e parte del convento presso cui visse S. Caterina Vegri, entrambi eretti nel 1415.

Nella chiesa, la cui facciata in cotto conserva elementi decorativi originali, furono tumulati i duchi ferraresi Alfonso I, Ercole II, Alfonso II d’Este e le duchesse di Ferrara e Urbino Lucrezia Borgia e Lucrezia d’Este. Il convento fu soppresso quasi interamente e trasformato in scuole tecniche.

 

Nella letteratura

È in questa via che Giorgio Bassani, nella sua riscrittura immaginaria della città reale, colloca la casa di uno dei protagonisti di Una lapide in via Mazzini, una delle Cinque storie ferraresi che compongono il suo Romanzo di Ferrara: Geo Josz, descritto nel racconto bassaniano, in tutto il suo straniamento e nella sua deumanizzazione, come uno dei sopravvissuti alla Shoah. Il personaggio è liberamente ispirato Eugenio (Gegio) Ravenna, cugino di secondo grado dello scrittore in quanto la nonna di Eugenio, Amelia Hanau, era sorella di Eugenia, nonna paterna di Bassani, il cui ritratto, firmato Bergonzoni, è visibile presso la sede della Fondazione Bassani. Come Geo, anche lui, sebbene vittima e superstite della shoah, vide la lapide di via Mazzini affissa nel 1949 a memoria degli ebrei della comunità ferrarese non più tornati dai campi di sterminio, e trovò un suo omonimo.

Notevole, in questa raccolta, la prossimità di ubicazione delle abitazioni di ben tre dei protagonisti di altrettanti dei cinque racconti: accanto, appunto, a via Campofranco, si trovano via Salinguerra, presso cui è collocata la dimora di Lida mantovani nell’omonimo racconto, e via Fondobanchetto, dove, ne Gli ultimi giorni di Clelia Trotti, la maestra antifascista è tenuta agli arresti domiciliari dalla sorella e dal cognato fascista.

 

Testimonianze

«Nelle immediate vicinanze e all’interno di quella che, prima della guerra, era stata casa Josz […], ne circolavano parecchie, di barbe. E al basso palazzotto di rossi mattoni scoperti, sormontato da una snella torre ghibellina, così esteso, in lunghezza, da coprire quasi per intero un lato dell’appartata via Campofranco, ciò contribuiva non poco a conferire un’aria arcigna, militaresca, buona forse a evocare dal passato gli antichi proprietari dello stabile, i marchesi Del Sale, dai quali Angelo Josz lo aveva preso nel ’10 per poche migliaia di lire, ma niente affatto lui, il grossista di tessuti ebreo, deportato in Germania con moglie e figli.

Il portone di strada era spalancato. Davanti, seduti sui gradini dell’ingresso coi mitra fra le gambe nude, oppure riversi sui sedili di una jeep accostata all’alto muro che, dirimpetto, correva a delimitare un vasto, traboccante giardino, sostavano in ozio una dozzina di partigiani. Ma altri, in numero maggiore, alcuni portando sotto il braccio fascicoli voluminosi, e tutti con volti energici e risoluti andavano e venivano di continuo. Fra la via mezza in ombra e mezza al sole e il portico sbrecciato del vecchio palazzo gentilizio si svolgeva insomma un su e giù intenso, vivace, addirittura allegro, in pieno accordo con le strida delle rondini che passavano basse, radendo i ciottoli stradali, e col ticchettio di macchine da scrivere che usciva fuori senza soste attraverso le enormi inferriate delle finestre a pianterreno.»

(G. Bassani, Una lapide in via Mazzini, in Opere, Il romanzo di Ferrara, Mondadori, Milano 2001, p.93)

 

«Nell’attesa che lo stabile di via Campofranco tornasse effettivamente ed interamente in suo possesso, Geo Josz parve accontentarsi di occuparne una stanza sola. […]

Più che una stanza si trattava in realtà di una specie di granaio posto in cima alla torre merlata che sovrastava la casa: uno spoglio camerone al quale, dopo aver fatto non meno di un centinaio di gradini, e servendosi alla fine di una scaletta di legno, si accedeva direttamente da uno sgabuzzino un tempo adibito a ripostiglio di comodo. […] Senonché, da quell’altezza, attraverso un’ampia vetrata, fu presto palese che Geo poteva tener dietro a qualsiasi cosa succedesse tanto nel quanto in via Campofranco. E siccome non usciva quasi mai di casa, passando presumibilmente ore e ore a guardare il vasto paesaggio di tegole brune, orti, e lontane campagne, che si stendeva ai suoi piedi, la sua presenza continua divenne in breve per gli occupanti dei piani inferiori, un pensiero molesto, assillante.»

(G. Bassani, Una lapide in via Mazzini, in Opere, Il romanzo di Ferrara, Mondadori, Milano 2001, p.96)

 

«Strada che un tempo formava una cosa sola col “Praisolo”. La denominazione di “via Campofranco” deriva dalla concessione fatta dal march. Aldobrandino d’Este nel 1360 di potersi battere a duello a Ferrara, come in “campo franco” esente pena. Il campo libero era concesso ai duellanti nella via del Praisolo e del Pergolato. Il brutto costume di far duelli fra noi rimonta per lo meno al 1015, e lo si riteneva lecito anche fra le persone di chiesa. In via Cortevecchia si apriva un vicolo denominato dei Duelli […].»

(G. Melchiorri, Nomenclatura ed etimologia delle piazze e delle strade di Ferrara e Ampliamenti all’opera di Gerolamo Melchiorri, a cura di C. Bassi, 2G Editrice, Ferrara 2009, p. 40)

 

Sulla relazione Geo Josz - Eugenio (Gegio) Ravenna, si ricordano le parole della figlia di quest’ultimo, Marcella Hannà Ravenna: «Per delineare Geo Josz, protagonista del racconto Una lapide in via Mazzini, Giorgio Bassani si ispirò liberamente a una persona reale, Eugenio (Gegio) Ravenna, mio padre. È questa una questione sinora mai affrontata negli studi e nei contributi sull’argomento. Quando il racconto fu pubblicato ero troppo piccola e ciò non mi consentì di conoscere o ricordare quale fu la sua reazione. Anche in seguito non ne parlò con noi figli, così come faceva generalmente per tutte le questioni che lo riguardavano.

[…] Quel che accomuna Geo alla figura reale di Eugenio (Gegio) Ravenna, cugino di secondo grado di Bassani, è soprattutto aver letto la lapide in via Mazzini: come Geo vi trovò il suo nome, così Gegio trovò quello di un suo omonimo. Poi, a parte l’assonanza dei nomi, le comunalità si limitano secondo me a pochi altri aspetti; senz’altro al colore degli occhi e forse a quell’espressione talvolta un po’ sprezzante dello sguardo.»

M. Hannà Ravenna, “Una lapide in via Mazzini”: la vera storia di Geo Josz, storiamestre, 17 marzo 2018

 

Sitografia

  • https://storiamestre.it/2017/03/la-vera-storia-geo-josz/

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Ente Responsabile

  • Assessorato alla Cultura e al Turismo, Comune di Ferrara

Autore

  • Barbara Pizzo