Scheda: Luogo - Tipo: Vie e Piazze

Via della Ghiara

Via della Ghiara

Via del centro storico cittadino, che si sviluppa da via Camaleonte all’incrocio tra via Porta San Pietro, via Quartieri, via XX settembre.

 


VIA DELLA GHIARA 1 B

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Denominazione e cenni storici

Via della ghiara o della ghiaia è il nome antico anche dell’attuale via XX settembre, tratto di cui costituiva il proseguimento, come attestato dalla numerazione delle abitazioni e dalla denominazione dell’arco monumentale posto al limitare dell’attuale via XX settembre: detto Prospettiva della Ghiara, è stato eretto nel 1776 dall’architetto Gaetano Genta, richiamando la Prospettiva di corso Giovecca.

La via si chiamava strada della ghiara in riferimento all’alveo dell’antico Primaro, che depose in quel tratto le “ghiaie”, alzando e interrando il proprio letto, come ricordato anche da Girolamo Melchiorri, assieme alle principali costruzioni della via.

Di questi, il principale è Palazzo Tassoni, il cui portale spicca al n. 38 (4930). L’antico stabile fu fatto costruire dagli Estensi nel corso della cosiddetta “addizione borsiana” (o “seconda addizione”, voluta, appunto, da Borso; 1451) e donato, assieme al cognome, ai conti Tassoni Estensi. Rimase proprietà della famiglia fino al 1858, quando divenne manicomio cittadino. Inaugurato il 28 ottobre, il reparto ospedaliero era costituito da un complesso vasto, che includeva cortili, giardini e un oratorio pubblico voluto dal marchese Filippo Tassoni (1720). Restaurato nel 2009, attualmente ospita la sede della Facoltà di Architettura dell’Ateneo ferrarese, intitolata a Biagio Rossetti.

Nella medesima via, nell’orto degli Agostiniani di San Giuseppe, nel 1913 fu edificato uno stabile ad uso scolastico originariamente intitolato al poeta ferrarese Alfonso Varano, in cui nel tempo si sono avvicendati diversi Istituti.

Curioso è il distico che compare su una tavoletta di marmo posta al sopra l’architrave dell’antica abitazione al civico n.6: “Haec domus hic donec fluctus Formica marinos / Ebibat, et totum testudo perambulat (?) orbem” (trad.: “che questa casa resista finché una formica non abbia bevuto tutta l’acqua del mare e una tartaruga non abbia fatto il giro del mondo”).

 

Nell'itinerario bassaniano

È in questa via che Giorgio Bassani colloca l’abitazione di Elia Corcos, il “dottorino” ebreo che grazie alla sua competenza ottiene il rispetto della borghesia ferrarese, divenendo Primario dell’ospedale cittadino e medico personale della duchessa Costabili, tuttavia pagando il provincialismo della città. Nella casa di via Ghiara, “el buen retiro”, egli vive con la famiglia: la moglie, Gemma Brondi, i figli Jacopo e Ruben (morto nel 1902, a otto anni, di meningite), e la cognata Ausilia, di lui segretamente innamorata.

Via Ghiara è molto cara allo scrittore, ben oltre la dimensione letteraria: è lì che si ergeva la casa dei nonni materni, dimora presso la quale ha trascorso molto tempo in età infantile, come ricordato nel componimento La cuginetta cattolica. Non è un caso che il personaggio di Elia Corcos abiti proprio in questa via: dietro all’immaginario letterario si cela infatti il ricordo della figura del nonno materno, Cesare Minerbi, a lungo Primario dell’Arcispedale Sant’Anna, come ricordato dallo stesso nipote nell’epigrafe posta sulla lapide del cimitero ebraico di via delle Vigne.

 

Testimonianze

«Pochi anni addietro la “Strada della Ghiaia” era una continuazione dell’attuale via Venti Settembre, e la numerazione delle case lo conferma tuttora. E il tratto che va da via Chiovare alla via Camaleonte, si appellava la “Strada del Salaro” dal magazzeno di privativa governativa, o deposito del sale, situato in fondo a via Camaleonte, detto ancora volgarmente “La Salara”. Tutta la via antica della Ghiaia, o Ghiara, tracciata dal marchese Nicolò III, nel 1401, dove era l’alveo del Primaro, fu così appellata dalle “ghiaie” depositate da quel vecchio ramo di fiume, che aveva alzato e interrito il suo letto»

(G. Melchiorri, Nomenclatura ed etimologia delle piazze e delle strade di Ferrara e Ampliamenti all’opera di Gerolamo Melchiorri, a cura di C. Bassi, 2G Editrice, Ferrara 2009, p. 78s.)

 

«Si sposarono. Si allogarono da principio presso il padre di lui, il vecchio mercante di grani Salomone Corcos, e là, in via Vittoria, nel cuore di quello che fino a non molti anni avanti era stato il ghetto, nacquero Jacopo, subito, e poi Ruben. Dovette insomma trascorrere una mezza dozzina d’anni prima che la dimora di via della Ghiara, […] potesse essere acquistata.

Per arrivarci da casa Brondi, quando, s’intende, si fosse percorso il viottolo in cima ai bastioni ed evitato ogni possibile scorciatoia urbana, c’era da compiere una sgambata di almeno mezz’ora. Si cominciava lasciandosi alle spalle il Borgo San Giorgio, raggruppato intorno alla grande chiesa omonima e alla sua bruna torre campanaria. Si continuava fiancheggiando per quanto era lunga la monotona, cieca muraglia del Manicomio. Infine, dopo aver cominciato a intravedere sulla sinistra, all’estremo limite della pianura sterminata, la linea azzurra e ondulata delle colline di Bologna, ecco che, girando la testa dalla parte della città, gli sguardi venivano immediatamente attratti da una facciata grigia, laggiù, tutta tramata di vite americana, le verdi imposte accostate a difendere gli interni da ogni eccesso di riverbero: una facciata che rivolta come era  verso mezzogiorno, e quindi esposta a ricevere ogni benché minima variazione della luce, coi suoi pallori, con le sue cupezze, coi suoi improvvisi rossori e trasalimenti, faceva davvero pensare a qualche cosa di vivente, di umano.

Se uno la guardava per l’appunto di là sopra, la casa, dall’alto delle mura, l’avrebbe detta una specie di colonica. […]

Dal lato opposto la casa nemmeno si riconosceva.

Appariva come un dignitoso palazzetto di nudo cotto rosso. E ogni volta sembrava incredibile […] che la campagna di cui via della Ghiara, col suo aspetto tranquillo e appartato, è vero, però marcatamente cittadino, faceva quasi dimenticare l’esistenza, cominciasse invece a non più di qualche decina di metri di distanza, appena oltre quell’ultimo velo di facciate dall’aria in prevalenza borghese, in qualche caso addirittura signorile, tra le quali, senza affatto scapitarne al confronto, si allineava anche quella del dottor Corcos.

(G. Bassani, La passeggiata prima di cena, in Opere, Il romanzo di Ferrara, Mondadori 2001, p. 70s.)

 

«Non è affatto vero sono stato / molto felice da / ragazzo / però da bambino incomparabilmente / di più // La mia vita si svolgeva a quell’epoca / ̶  l’epoca della guerra  ̶   / nella casa dei nonni in via / della Ghiara / col nonno Cesare che verso sera / tornava in bicicletta dall’ambulatorio o dall’ospedale / e che poi dritto in piedi dinanzi / ad una delle grandi finestre / di cucina / guardava verso Bologna l’oro delle nuvole a grado a / grado spegnersi / e intanto cantava a mezza bocca sogghignando e piangendo / Leonora addio // Sopraggiunse infine da Roma / una bella ardita / moretta / Bruna la cuginetta / cattolica»

(G. Bassani, La cuginetta cattolica, in In rima e senza, Epitaffio, p. 1428s.)

 

«In questa tomba / accanto a quella del figlio / è sepolto / il Professor Dottor / Cesare Minerbi / per quarant’anni Primario / dell’Arcispedale Sant’Anna / scienziato originale e clinico / di fama / medico curante di quattro / generazioni di ferraresi // Nato nel 1856 / quando ancora a Ferrara governavano / i Cardinali Legati / morì nell’autunno del 1954 / quasi centenario / vivendo fino all’ultimo del proprio lavoro / passando arguto e solitario fra noi / col sorriso del saggio e del filosofo / e lo sguardo distante di chi ha scrutato il / dolore»

(Lapide sulla tomba di Cesare Minerbi, 1856-1954, presso il cimitero ebraico ferrarese di via delle vigne; parole di G. Bassani)

 

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Ente Responsabile

  • Assessorato alla Cultura e al Turismo, Comune di Ferrara

Autore

  • Barbara Pizzo