Scheda: Tema - Tipo: Storia

Il dopoguerra

Via delle Volte, cartolina. 1946

Negli anni del dopoguerra gli ebrei ferraresi si dedicano alla difficile ricostruzione di un’identità come ‘cittadini italiani di religione ebraica’, alla ricerca delle notizie sui deportati e alla ricostruzione materiale e morale della Comunità.

 


Inizio: Aprile 1945
Liberazione e fine del secondo conflitto mondiale

Periodo di riferimento: 1980 - 1990
Inizia l’opera di salvaguardia e diffusione del patrimonio storico e artistico della Comunità ferrarese

Periodo di riferimento: 1997
Apertura del Museo Ebraico di Ferrara

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  • Ferrara ebraica

1. Il (non) ritorno dopo le persecuzioni

Dei circa 700 cittadini ebrei ferraresi censiti nel 1938, alla fine del conflitto nell’aprile del 1945 non ne rimangono più di 200 secondo le stime della Prefettura cittadina.

Tra il 1943 e il 1944 circa 120 cittadini ebrei di origine ebraica vengono deportati nei campi di sterminio di Auschwitz, Buchenwald, Ravensbruck e Bergen-Belsen. Tornano solo in sette: Carlo Schöneit con la moglie Gina Schöneit e il figlio Franco Schöneit, Olga Ancona, Guglielmo Cohen, Eugenio Ravenna e Carlo Rietti.

Alle vittime della deportazione vanno aggiunte le circa 120 persone che se ne sono andate tra il 1939 e il 1943: alcuni si trasferiscono in città più grandi, con la speranza di passare inosservati, altri emigrano all’estero, in Argentina, negli Stati Uniti, come Ciro Contini o Angelo Augusto Luisada, o in Palestina.

Alle perdite umane si aggiunge l’impoverimento materiale della comunità causato dalle leggi razziali prima e dalle persecuzioni poi: impossibilità di continuare ad esercitare la propria professione, licenziamenti da aziende private e da impieghi pubblici, sequestri di aziende e di proprietà, senza contare le devastazioni di cui i due episodi delle sinagoghe di via Mazzini (1941 e 1943) possono essere considerati l’emblema.

Gli anni del dopoguerra sono quindi dedicati alla difficile ricostruzione di un’identità come ‘cittadini italiani di religione ebraica’, alla ricerca delle notizie sui deportati e alla ricostruzione materiale e morale della Comunità, per esempio attraverso la riapertura dell’Oratorio Fanese e della sinagoga tedesca. Il Tempio Italiano, invece, non viene più riaperto al culto, a eccezione di una solenne commemorazione in memoria delle vittime delle persecuzioni nei giorni del Kippur del 1945.

2. La salvaguardia e la diffusione del patrimonio storico e artistico della Comunità

A metà degli anni Ottanta del Novecento, nell’ambito di un più ampio dibattito a livello nazionale, comincia a porsi la problematica del recupero e della salvaguardia del patrimonio storico e culturale della Comunità ebraica ferrarese, che nel frattempo si è ulteriormente ridotta, arrivando a contare circa 50 persone. Questa tematica si impone anche in forza della specificità della storia di Ferrara: la presenza continuativa di una componente ebraica all’interno della popolazione cittadina a partire almeno dalla metà del 1200.

Fra i maggiori fautori e artefici di questo recupero e della successiva valorizzazione del patrimonio della Comunità ebraica ferrarese, c’è il presidente della sezione di Ferrara di Italia Nostra e componente egli stesso della Comunità, Paolo Ravenna.

All’interno di questa politica si inseriscono anche iniziative come le mostre “Meraviglie dal ghetto” (Palazzo Diamanti e Palazzo Paradiso, Ferrara, 20 settembre 1988-15 gennaio 1989) e “I TAL YA’” (Palazzo Diamanti, Ferrara, 18 marzo-17 giugno 1990).

All’inizio degli anni Novanta, anche grazie a contributi statali, sono intrapresi importanti lavori di restauro e di consolidamento che permettono di recuperare alcuni spazi del complesso di via Mazzini. Nel 1997 viene inaugurato il Museo della Comunità Ebraica di Ferrara.

3. Testimonianze

Testimonianza di Paolo Ravenna

“Noi riteniamo che a Ferrara la storia della Comunità, che ha proiezioni europee fin dal ‘500, possa venir rappresentata con alcune iniziative: il Museo vero e proprio di cui non si è mai parlato in termini specifici ed approfonditi ma che potrà illustrare la vita ebraica nell’area ferrarese assai ampia, sia con oggetti e documenti ancora esistenti, sia con il recupero anche attraverso riproduzione di quelli che oggi sono sparsi nel mondo. […] Il quartiere del ghetto potrà formare oggetto di un intervento di recupero conservativo così come aveva intravisto il Comune nel piano regolatore, identificando e realizzando un comparto edilizio nei suoi originali aspetti tipologici non ancora abbastanza studiati. […] Il restauro e lo studio del cimitero o meglio dei cimiteri; perché pochi sanno che non esiste solo il vasto cimitero di via delle Vigne, che è uno dei più prestigiosi spazi tuttora integri dell’Addizione Erculea, ma vi è anche il minuscolo cimitero spagnolo-lusitano internato nel retro di un’autorimessa in via Arianuova. A queste tre iniziative ne aggiungerei una quarta. Un centro studi che può realizzarsi, con la collaborazione degli Enti locali e dell’Università, in un interscambio di studiosi anche di altri paesi.”

Paolo Ravenna, Il museo della Comunità Israelitica: un patrimonio per la città, in Musei Ferraresi. Proposte di un sistema, pp. 91-92.

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Ente Responsabile

  • Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara

Autore

  • Federica Pezzoli
  • Sharon Reichel