Scheda: Luogo - Tipo: Verde pubblico

Codigoro

Palazzo del Vescovo nel centro storico di Codigoro. Fotografia Federica Pezzoli, 2015. © MuseoFerrara

Codigoro è un centro agricolo del Delta ferrarese, che ha acquistato importanza industriale specialmente nel campo della lavorazione e trasformazione dei prodotti agricoli. La sua evoluzione storica è legata alle vicende dell’abbazia di Pomposa e alla secolare opera di bonifica di questo territorio. Giorgio Bassani descrive questi luoghi nel suo ultimo romanzo “L’airone”.


Lat: 44.834960 Long: 12.175313

Notizie dal: 1224
Ll’abate di Pomposa investe Azzo d’Este della podesteria di Codigoro

Notizie dal: 1575 - 1580
Sotto Alfonso II si intraprende una campagna di bonifica diretta da Giambattista Aleotti

Notizie dal: 1575 - 1580
Sotto Alfonso II si intraprende una campagna di bonifica diretta da Giambattista Aleotti

Notizie dal: 1870
Nuova bonifica: vengono prosciugati circa 56.000 ettari di terreno

Notizie dal: VII Sec. (600-699) - VIII Sec. (700-799)
Arrivo dei monaci benedettini all’Abbazia di Pomposa

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  • fabbricato | fiume | convivenza | chiesa | istituto culturale | biblioteca | palazzo | parco | riserva naturale

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  • Ferrara ebraica

1. Cenni storici

Le prime testimonianze di un insediamento nell’area di Codigoro risalgono all’epoca romana, quando la località era denominata Neronia o Neroma, probabilmente per via della terra nera e paludosa. Da qui passava la via romana Popilia, che collegava Rimini e Acquileia.

Nel XIV secolo il luogo ha cambiato nome in Codigoro da Caput Gauri: l’abitato sorgeva infatti alla foce del Po di Goro. Nel frattempo l’area entra nella sfera d’influenza dell’Abbazia di Pomposa, dove dal VII-VIII secolo opera un nucleo di monaci benedettini che dà inizio alle prime opere di bonifica del territorio.

Nel 1224 l’abate di Pomposa investe Azzo d’Este della podesteria di Codigoro. Dopo un primo progetto di opera di bonificazione sotto il ducato di Borso d’Este nel 1464, con Alfonso II si intraprende tra il 1575 e il 1580 una nuova campagna di bonifica sotto la direzione di Giambattista Aleotti.

Dopo la devoluzione del ducato di Ferrara allo Stato Pontificio nel 1598, Codigoro diviene un centro di pescatori e cacciatori. È solo durante il periodo francese e poi dopo l’Unità d’Italia, a partire dal 1870, che riprende l’opera di bonifica: in questo periodo viene costruito il primo impianto idrovoro e vengono prosciugati circa 56.000 ettari di terreno.

Oggi Codigoro è un grosso centro agricolo all’interno del Parco del Delta del Po, che ha acquistato importanza industriale, specialmente nel campo della lavorazione e trasformazione dei prodotti agricoli.

2. Il Palazzo del Vescovo

Situato sul lungo Po di Riviera Cavallotti, in origine è la sede dell’abate di Pomposa: l’edificio dunque dal 1100 circa è la sede amministrativa dei possedimenti abbaziali.

L’aspetto attuale è frutto di una radicale ricostruzione risalente all’inizio del Settecento, che gli ha conferito uno stile alla veneziana, operato dalla famiglia nobiliare dei Cestari di Chioggia, che lo donano successivamente al vescovo di Comacchio: da qui il nome di Palazzo del Vescovo.

Negli anni Sessanta del Novecento viene acquistato dal Comune di Codigoro e ristrutturato negli anni 1975-1978. Oggi è sede della Biblioteca Comunale e della Fondazione Giorgio Bassani e centro culturale.

3. Impianto idrovoro

È uno dei primi edifici che si incontrano arrivando a Codigoro lungo la strada che da Ferrara corre parallela lungo il Po di Volano. L’impianto idrovoro risale al 1855, viene ristrutturato e ampliato nel 1911 dall’ingegnere Ciro Contini.

L’impianto regola l’immissione nel Volano dell’acqua proveniente dalle ex-Valli: grandi pompe di sollevamento idrauliche, originariamente a vapore, sollevano l’acqua da sotto il livello del mare per immetterla nei grandi collettori che riprendono il tracciato di impianto estense.

Il complesso è formato da un lungo edificio contenente le pompe di sollevamento e da due ciminiere, il tutto in laterizio. Ha uno stile architettonico neoclassico con le pilastrature perimetrali che divengono lesene decorative definendo gli spazi per le estese finestrature.

4. L'abbazia di Pomposa

L’abbazia, con il suo inconfondibile campanile romanico è forse l’edificio religioso più importante per antichità e testimonianze artistiche del territorio provinciale ferrarese.

La presenza di un cenobio benedettino è testimoniata per la prima volta alla fine del IX secolo. È il ravennate abate Guido degli Strambiati (1008-1046) l’iniziatore della radicale riforma delle fabbriche pomposiane, ampliate e abbellite nel corso del XI secolo: nel 1026 viene riconsacrata la chiesa, nel 1063 costruita la torre campanaria e poi i chiostri e il palazzo della Ragione, nel quale l’abate di Pomposa esercitava la giustizia civile. In questi anni l’abbazia di Pomposa ospita anche numerose personalità illustri, tra cui San Pier Damiani e Guido d’Arezzo, che sembra avere elaborato proprio qui il suo metodo di scrittura delle note musicali.

Con la rotta del Po di Ficarolo il tracciato del Delta del Grande Fiume si modifica profondamente e comincia il processo di impaludamento di queste zone. Con il tempo l’abbazia perde progressivamente di importanza e nel 1496 viene assegnata come dipendenza del nuovo monastero di San Benendetto fondato a Ferrara dal cardinale Ippolito d’Este.

Nel 1802 con le soppressioni d’età napoleonica il complesso con i suoi terreni viene avocata al Demanio che la vende a privati: i marchesi Guccioli di Ravenna adibiscono i vari fabbricati ad uso agricolo. Tra il 1910 e il 1914 lo Stato italiano espropria gran parte delle fabbriche di Pomposa, compiendo tra il 1925 e il 1930 un completo ciclo di restauri che ne recuperano gli edifici ancora esistenti.

Alla Chiesa di Santa Maria, si accede da un portico a tre archi, riccamente decorato in cotto e marmo e con l’inserimento di maioliche multicolori, particolarmente eleganti appaiono due finestre circolari chiuse da preziose transenne in pietra scolpite a figure fitomorfe e animali. L’interno è diviso in tre navate da due file di colonne di stile ravennate-bizantino. Di grandissimo pregio è il pavimento in mosaico eseguito tra VI e XII secolo. L’affresco dell’abside risale al XIII secolo ed è opera di Vitale da Bologna. Lungo le pareti laterali della navata centrale corre una ricchissima decorazione, anch’essa del XIII secolo, disposta su tre fasce: la più alta rappresenta scene del Vecchio Testamento, la mediana scene del Nuovo Testamento e la più bassa scene dell’Apocalisse di San Giovanni. Sulla parete di controfacciata è raffigurato un grande Giudizio Universale.

A lato della chiesa c’è il campanile alto 48 metri, eretto nel 1063 dall’architetto Deusdedit: diviso in nove moduli, ciascuno con finestre sempre più larghe e numerose dal basso verso l’alto. Il paramento in mattoni rossi e gialli conserva inserti di bacini ceramici (18 antichi, gli altri di epoca moderna) con disegni di alberi, pesci, uccelli e fiori: sono databili al secolo XI e provengono da vari paesi mediterranei, come l’Egitto, la Tunisia e la Sicilia.

Il museo è stato allestito in maniera definitiva nel 1976, ed espone opere d’arte di diversa natura ed epoca, ma prevalentemente medievali, attinenti alla grande fabbrica conventuale. Particolarmente interessanti – oltre a brani di affreschi staccati provenienti dai diversi cicli pittorici della chiesa (X e XIV secolo) – capitelli e sculture architettoniche di reimpiego che vanno dal VI al X secolo.

5. Canneviè

Lungo la strada che dalla Statale Romea conduce a Volano si trova la stazione Biotopica di Canneviè. Il casone attuale, di grande valore ambientale, è stato costruito nel XVIII secolo come stazione di pesca e di marinatura del pesce. Profondamente ristrutturato, il casone presenta attualmente un corpo a due piani dalla pianta a rettangolo allungato: sul prospetto nord rimane un bel camino aggettante a tutta altezza. Vicino al casone, la Palazzina di Canneviè: residenza padronale o del capo pesca, di epoca successiva, nonostante le linee settecentesche di influenza veneta. Il corpo principale consta di due piani, con la parte centrale rialzata di un piano e terminante con un semplice frontone triangolare. Due camini aggettanti caratterizzano il prospetto principale.

6. La garzaia di Codigoro

È una area di circa 8 ettari all’interno dell’ex zuccherificio Eridania. Tra gli alberi, Robinie, Pioppi, Sambuchi, sono sorti numerosi nidi di Aironi Cenerini e Aironi Bianchi Maggiori, Garzette, Nitticore.

Censita per la prima volta nel 1981, dai ricercatori dell'Università di Pavia, la Garzaia di Codigoro è stata descritta come una delle più consistenti e importanti colonie di Aironi dell'Italia settentrionale. Per questo l'Amministrazione Provinciale di Ferrara vi ha istituito un’Oasi di Protezione della Fauna.

7. Testimonianze

Testimonianza di Giorgio Bassani

“E ben presto, senza mai scendere al di sotto dei settanta, giunse in vista dell’abbazia di Pomposa. Da quanto tempo non arrivava da quelle parti! – non poté fare a meno di sospirare mentre l’Aprilia filava veloce lungo il rettilineo finale –. Ma era contento, però: contento che l’abbazia, a prescindere dalla vegetazione di gran lunga più folta che la circondava attualmente (segno questo che le idrovore del Consorzio Bonifiche avevano potuto continuare a lavorare indisturbate anche negli ultimi anni), fosse passata attraverso la guerra conservando intatto il suo aspetto originario di grossa azienda agricola tipo la Montina. Eh già – si diceva, fissando le rosse, antiche pietre del monastero –. Con quella torre campanaria, da un lato, capace come un silo di granaglie; con quella chiesa nel mezzo che più che una chiesa faceva venire in mente un fienile; con quegli altri fabbricati disadorni, sulla destra, disposti come case coloniche intorno all’aia: effettivamente, se pure in grande, Pomposa assomigliava in tutto e per tutto alla Montina”.

(Giorgio Bassani, L’Airone, in Il romanzo di Ferrara, libro V, Milano, Mondadori, p. 59)

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Ente Responsabile

  • Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara

Autore

  • Federica Pezzoli
  • Sharon Reichel