Moti del 1831 e 1848
I moti del 1831 e del 1841 vedono una grande partecipazione ebraica nei ruoli di primo piano.
1. I moti del 1831
Le porte del ghetto, abbattute dai francesi nell’aprile del 1797 dopo il loro ingresso a Ferrara il 23 giugno dell’anno precedente, tornano a chiudersi nel 1815 con la Restaurazione pontificia. Il 12 febbraio 1829 muore il pontefice Leone XII (1760-1829), di idee reazionarie ed inviso agli ebrei, oltre che a un gran numero di cattolici; gli israeliti possono sperare in un nuovo papa più benevolo ma anche il successivo, Pio VIII (1761-1830) è uno strenuo conservatore. Il suo pontificato dura però solo qualche mese ed il 2 febbraio 1831 viene eletto Gregorio XVI (1765-1846), più moderato ed incline alle riforme. Ma intanto, moti guidati dalla borghesia liberale imperversano in tutta Europa, su esempio delle “tre gloriose giornate” del 27-28-29 luglio in Francia, che avevano rovesciato Carlo X (1757-1836), l’ultimo Borbone. Solo pochi giorni dopo l’elezione di Gregorio XVI, il 7 febbraio 1831, a Ferrara viene installato un Governo provvisorio in maniera pacifica, senza spargimento di sangue come già a Bologna e in alcune città della Romagna. Ordinato l’abbattimento dei portoni del ghetto il 10 febbraio, gli ebrei sono cittadini liberi a tutti gli effetti, su esempio dei recenti provvedimenti presi in Francia dal nuovo re Luigi Filippo d’Orleans (1773-1850) in favore degli ebrei nel decreto votato in gennaio e ratificato l’8 febbraio 1831 che abrogava le disposizioni restrittive del 1816. Il 6 marzo 1831, però, gli austriaci occupano di nuovo Ferrara riconsegnandola al papa.
2. I moti del 1848
L’8 maggio 1833 “fra il biasimo della cittadinanza” (Magrini 2015, p. 267) viene ordinato il ricollocamento dei portoni che, però, non vengono più richiusi. I moti del 1848 a Ferrara vedono protagonista nel Circolo Nazionale per la rivoluzione Abramo Pesaro, cugino di Isacco Pesaro Maurogonato, Ministro delle Finanze del Governo provvisorio veneziano ed amico del patriota e filantropo Salvatore Hanau; sono in primo piano anche il pittore Giuseppe Coen e Giuseppe Padova di Cento, che aveva ottenuto dal papa un miglior trattamento per gli ebrei ferraresi e che sarà tra gli ostaggi più importanti degli austriaci nel 1849 per la restaurazione pontificia. Già il 13 agosto 1847 il cardinale Ciacchi aveva ordinato si togliessero i portoni, senza far riferimento ai pilastri che li sorreggevano; il 21 marzo 1848 questi ultimi vengono abbattuti da cristiani ed ebrei insieme. Il 14 ottobre si costituisce il Circolo Nazionale ferrarese con Salvatore Hanau come segretario; il 19 febbraio 1849, alle elezioni comunali, su 57 consiglieri sono eletti quattro ebrei, fra i quali Giuseppe Coen. Ma il 15 maggio 1849 gli austriaci, guidati dai generali Gorzkowski e Radetski, intimano alla città la resa, restituendo il potere al papa, rappresentato dal Delegato Pontificio Conte Filippo Folicaldi, che si era già fatto odiare durante i moti del 1831.
3. Le ritorsioni
Il papa non può perdonare i capi dell’insurrezione: Salvatore Hanau, già fuggito a Genova, è espulso dallo Stato della Chiesa e dal Lombardo-Veneto; Giuseppe Coen si trasferisce a Venezia; il dottor M. L. Finzi viene radiato dall’Accademia Medica di Ferrara.
I moti del 1848-1849, però, hanno visto a Ferrara una partecipazione popolare ed ebraica molto più ampia che in quelli del 1831 e devono passare solo altri dieci anni per l’emancipazione e la definitiva uguaglianza civile.
4. Testimonianze
Testimonianza di Leone Ravenna
Dopo la nuova erezione dei portoni nel 1833, Leone Ravenna narra: “Le idee però progredivano e gli antichi paria che ormai si sentivano uomini, diedero prova di coraggio civile ben raro in quell’epoca, offrendo una resistenza passiva agli ordini superiori. Essi non si smossero, i pilastri dovettero essere riedificati d’Ufficio e la Comunità fu poi costretta a rifondere la spesa che fu fatta ascendere a 1.000 scudi; invitata a consegnare i portoni che nel 1831 erano stati trasportati al Cimitero Israelitico, vi si rifiutò e, mentre venivano levati di là con la forza, la presidenza dell’Università elevava formale protesta a mezzo notarile, poscia ricorreva al Governo centrale e, interessando specialmente i baroni Rotschild, otteneva che, pure rimanendo intatto il lavoro già per volere arcivescovile eseguito, i portoni più non si chiudessero”. (Magrini 2015, p. 267)
Sull’abbattimento dei pilastri del Ghetto il 21 marzo 1848:
“Così descrive quell’avvenimento Leone Ravenna e lo rievocava commosso nei suoi tardi anni:
'Erano pervenute in quel giorno le notizie dell’epica lotta di Milano e dei moti di Venezia ed il popolo Ferrarese improvvisava una imponente dimostrazione […] Giunti i manifestanti alla strada maggiore del Ghetto, […] alcuni emisero il grido: abbasso i pilastri. Fu come la scintilla che fa divampare l’incendio. Un unanime formidabile abbasso rispose a quell’invito e tutti si arrestarono chiedendo ad alta voce martelli e picconi per demolire quegli avanzi di barbarie. […] si fecero ad atterrare col mezzo di lunghe corde i grossi capitelli che sormontavano i pilastri e la folla festante ne seguiva con impeto il magnanimo esempio. […] la gioia universale traboccava. Vivano i nostri fratelli Israeliti!, gridavano i più distinti Cattolici. ‘Vivano i nostri fratelli Cattolici!, rispondevano unanimi gli Israeliti. E gli uni cogli altri si abbracciavano in mezzo alla via e si baciavano e lagrime d’amore e di riconoscenza inumidivano tutte le ciglia. / Io ero allora tenero fanciullo; eppure quella scena sublime, indescrivibile mi rimase impressa nel cuore e nella mente in tal modo che, per volgere anni e per variare di eventi, non ne ho dimenticati i particolari più minuti, né li dimenticherò giammai, come certo non li dimenticarono né li dimenticheranno gli altri tutti che ebbero la fortuna di assistervi’”. (Magrini 2015, p. 277)
“Il 28 marzo 1848 Massimo D’Azeglio (1798-1866) arriva a Ferrara col generale Durando per coordinare i volontari che andavano raccogliendosi. All’albergo ‘Dei Tre Mori’, dove alloggiava D’Azeglio, si presentava un Ebreo che non mi fu dato precisare; gli presentò un sonetto a lui dedicato, ‘Siam d’Israele figli’, ed ebbe dalle sue mani stesse del D’Azeglio il suo opuscolo sull’emancipazione degli Ebrei”. (Magrini 2015, p. 278)
“Fra gli ebrei di Ferrara, certo non meno che fra gli altri cittadini, era un florilegio di poeti o pseudo-poeti, tutti inneggianti ai tempi nuovi. Non solo Salvatore Anau, il Dr L.M. Finzi, il Rab. Isacco Ascoli, Moisè Contini, Abramo Pesaro, ma troviamo pubblicazioni del Rab. Arnoldo Veneziani, ‘Roma’ e ‘Canto italico’, del Maestro Lampronti ‘Preghiera per l’Italia’ (Sonetto), di Leon Vita Levi ‘La Festa’ (Inno), di Vito Zamorani ‘Casa Bancaria d’Austria’ (Discorso)”. (Magrini 2015, p. 280)
Bibliografia
- Formiggini, Gina, Stella d’Italia Stella di David. Gli ebrei dal Risorgimento alla Resistenza, Mursia, Milano 1970
- Foà, Salvatore, Gli ebrei nel Risorgimento italiano, Carucci, Assisi-Roma 1978
- Magrini, Silvio, Storia degli ebrei di Ferrara. Dalle origini al 1943, Belforte, Livorno 2015 , pp. 263-282
Sitografia
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Ente Responsabile
- Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara
Autore
- Edoardo Moretti
- Sharon Reichel