La facciata della scuola ebraica nei locali di via Vignatagliata 79. Fotografia di Federica Pezzoli, 2015
La scuola di via Vignatagliata già da metà Ottocento ha assolto la funzione di asilo e scuola elementare della Comunità ebraica ferrarese. Dal 1939 al 1943, dopo l’emanazione delle leggi razziali, diventa anche sede della scuola media, del ginnasio e del liceo per gli studenti espulsi dagli istituti cittadini.
Sono 70 i ragazzi ebrei costretti a non frequentare più le scuole pubbliche ferraresi a partire dall’autunno 1938, dopo l’emanazione dei “provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista”, tra i quali l’espulsione degli insegnanti di razza ebraica e il divieto di iscrizione a scuole di qualsiasi ordine e grado per gli studenti ebrei. A partire dall’anno scolastico 1938-39 anche quattro professori e due maestre non possono più insegnare negli istituti ferraresi, mentre i due presidi dei licei cittadini, Emilio Teglio e Joseph Colombo, vengono dispensati dal servizio.
Subito la Comunità cerca di ricreare un luogo che dia ai ragazzi il senso di una parziale continuità di vita ed esperienza, oltre che di istruzione. Già dall’anno scolastico 1938-39, nei locali di via Vignatagliata ceduti dall’asilo della Comunità, vengono organizzate lezioni di gruppo per permettere agli allievi delle classi medie inferiori di proseguire gli studi e sostenere a fine anno gli esami di idoneità, come previsto dalla legge.
La scuola media di via Vignatagliata viene ufficialmente aperta solo nell’anno scolastico 1941-42, dopo un lunghissimo percorso burocratico: le autorità locali sperano così di poter esercitare un maggior controllo sulle sue attività. Il 5 ottobre 1941 iniziano le regolari lezioni di prima e seconda media e terza ginnasio.
Non mancano difficoltà e interferenze da parte del regime: nel maggio del 1942 l’orario settimanale viene parificato a quello della scuola pubblica e studenti e insegnanti vengono costretti ad andare a scuola il sabato, contravvenendo alle loro tradizioni e osservanze religiose, mentre nell’ottobre dello stesso anno l’inizio delle lezioni viene ritardato perché i professori sono precettati per il lavoro obbligatorio. Le lezioni vengono nuovamente sospese nel 1943 per via degli arresti di alcuni insegnanti, fra cui Giorgio Bassani, Matilde Bassani e Primo Lampronti. Nell’anno scolastico 1943-44 i corsi non possono nemmeno iniziare: in novembre il presidente della comunità Felice Bassani comunica al provveditore che in seguito all’avvenuto sfollamento di gran parte degli alunni e dei docenti la scuola non può riaprire. Dietro il termine “sfollamento” si cela l’inizio delle deportazioni.
Gli insegnanti sono gli studenti laureati o laureandi cacciati dalle Università, come Giorgio Bassani e Matilde Bassani, o i professori espulsi dalle scuole pubbliche, come il professor Veneziani, fratello del direttore del coro della Scala licenziato nel 1938. Il rabbino capo Leone Leoni insegna religione, mentre per la ginnastica c’è il pugile Primo Lampronti, campione italiano a cui è stato ritirato il titolo. È grazie a questi docenti d’eccezione che il provvedimento di esclusione si trasforma in un’opportunità di approfondire temi e spaziare su argomenti che nella scuola di regime difficilmente si sarebbero potuti trattare.
Testimonianza di Roseda Tumiati
“’Dov’è Debenedetti?’ domando in giro meravigliata con lo sguardo lungo le altre file. ‘E la Levi con la frangetta e le calze lunghe di seta?’. Ma come, siamo state insieme da sette anni fin dalla prima elementare. ‘Non ci sono perché sono ebrei” ripete Raffaele e aggiunge: “Il Duce ha detto che non possono venire a scuola vicino a noi, che dobbiamo stare lontani da loro perché sono impuri!’. Impuri Debenedetti e la Levi? ‘Sono impuri e minano la pace nel mondo con le loro ricchezze’ Ricchezze? Ma Debenedetti ha il papà ferroviere e la Levi ha il papà con una bottega di giocattoli in una via brutta e stretta…”.
Testimonianza di Matilde Bassani
“Giorgio Bassani, Morpurgo e io svolgemmo il nostro lavoro di insegnanti presso la scuola ebraica di Ferrara. Cercavamo di dare un segno di dignità ai ragazzini perseguitati, di cancellare dalla loro paura l’idea paralizzante dell’inutilità; di far vivere loro l’esclusione dalla vita collettiva non come un fatto personale, ma come una delle tante ingiustizie di un governo nato dall’ingiustizia e dalla violenza”.
Testimonianza di Paolo Ravenna
“Eravamo stati allontanati dall’Italia cosiddetta ufficiale ed entravamo del tutto impreparati in un’altra dimensione: quella di un paese a noi sconosciuto che man mano andavamo scoprendo in valori per noi nuovi come quelli della libertà e dell’antifascismo. Una scoperta lenta, complessa, ma che ci consentiva di non sentirci più isolati, di aspirare ad uscire dalla nostra clausura psicologica […] In via Vignatagliata si formò uno spirito nuovo che avrebbe improntato tutto il nostro futuro”.
Dell’alienazione degli ebrei dalla Biblioteca Comunale a seguito della promulgazione delle leggi razziali e della scuola media israelitica di via Vignatagliata, lo scrittore Giorgio Bassani offre una testimonianza letteraria nel racconto Gli ultimi giorni di Clelia Trotti, penultima delle Cinque storie ferraresi. Nel brano che segue è evidente la matrice autobiografica, celata dietro il personaggio di Bruno Lattes.
“[…] Ma il signorino Bruno Lattes non era nelle sue condizioni. Quantunque anche lui, come israelita, la Biblioteca Comunale non potesse più frequentarla, ciò nondimeno insegnava già nella scuola media israelitica di via Vignatagliata, e dunque poteva considerarsi ormai un professore.”
(G. Bassani, Gli ultimi giorni di Clelia Trotti, in Cinque storie ferraresi, in Opere, Il romanzo di Ferrara Mondadori, Milano 2001, p. 145)